In Europa si predica la fine della dipendenza dal gas russo, ma la verità è che il gas russo continua ad arrivare ai paesi dell’Unione europea. Lo dimostrano i dati sulle esportazioni di Gas naturale liquefatto (Gnl), il business su cui puntano diversi stati, fra cui l’Italia. Nel 2022, come racconta la ong ReCommon nel report “Sicurezza energetica per chi?”, sugli interessi italiani nel settore, le esportazioni russe sono cresciute del 10% e circa il 43% del totale è stata destinata a paesi dell’Unione europea. Una crescita guidata dalla società russa Novatek, il cui gas arriva per lo più da Yamal Lng, impianto di liquefazione di gas nella Russia siberiana e tra i più grandi progetti estrattivi al mondo. Nel 2016 Intesa Sanpaolo ha versato, dietro garanzia dell’assicuratore pubblico Sace, 750 milioni di euro nelle casse di Novatek per il progetto Yamal Lng. Ma come arriva il Gnl russo? Buona parte di questo gas liquefatto non arriva direttamente ai terminal dei paesi destinatari, ma passa prima da alcuni impianti chiave europei, tra cui quello di Barcellona, attraverso procedure poco trasparenti.

Il passaggio del Gas russo in Europa e il ruolo della Spagna – I paesi europei che hanno importato volumi di Gnl russo nel 2022 sono stati, infatti, Spagna, Belgio, Francia, Paesi Bassi e, infine, Italia. Eppure la Spagna è uno dei pochi paesi dell’Unione che non ha dovuto attrezzarsi per diversificare le importazioni di gas. “Con una relazione stabile con l’Algeria e sette terminal di rigassificazione ampiamente sottoutilizzati – racconta ReCommon – fino a gennaio del 2022 non aveva importato un solo metro cubo di gas dalla Russia”. Il boom di Gnl verso l’Ue, però, ha travolto anche il paese iberico “e nel calderone è finita anche una buona fetta di importazioni di gas russo”. Oggi la Russia è il terzo fornitore di gas della Spagna (dopo Usa e Algeria) “che arriva via nave ed è rivenduto ad altri paesi europei (e non solo), Italia inclusa” spiega ReCommon. In questo passaggio ha un ruolo chiave il porto di Barcellona, dove si trova il rigassificatore più grande del Mediterraneo. Oggi il terminal ha una capacità di 17 miliardi di metri cubi di gas.

La proprietà dell’impianto è di Enagas, società di trasporto del gas spagnola, business partner di Snam. Cosa avviene lo ha spiegato alla ong, Josep Nualart Corpas, ricercatore dell’Observatori del Deute en la Globalitzaciò. Da qualche anno la regolamentazione spagnola ha adottato la misura del ‘tanker unico’: gli stoccaggi di gas sono gestiti come un unico deposito aggregato. Questo significa che, per esempio, un terminal in Galizia può ricevere Gnl proveniente dalla penisola di Yamal in Russia e rivenderlo dal terminal di Barcellona a qualsiasi paese nel Mediterraneo o nel mondo. Dall’inizio del conflitto, il terminal ha iniziato così a rivendere gas anche nel Mediterraneo “senza alcuna trasparenza rispetto alla sua origine”.

Proprio da Barcellona passa la risposta italiana alla crisi – Questi dati riguardano l’Italia da vicino. È stato l’ex ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a sancire il nuovo collegamento tra il terminal per l’import di Panigaglia (in Liguria), controllato da Snam e i terminali spagnoli, in particolare proprio quello di Barcellona. Inoltre, a maggio 2022 Snam ed Enagas hanno firmato un memorandum di intesa per la costruzione di un gasdotto lungo oltre 700 chilometri che dovrebbe collegare in maniera permanente il terminal di Barcellona a quello di Livorno. Il progetto, che rientrerebbe tra quelli strategici dell’Ue come parte del pacchetto di misure RePowerEU, potrebbe costare fino a 2,5 miliardi di euro. “La narrativa della sicurezza energetica giustifica l’espansione dei due terminali di Snam, Panigallia e Livorno, che dovrebbero ricevere il gas spagnolo” denuncia ReCommon, che si domanda “quali siano le garanzie che alla fine quello acquistato non sia sempre gas russo”.

Lo storico legame con Mosca – Ma il collegamento con il gas russo è anche un altro e ha radici più profonde. Non c’è solo il finanziamento di Intesa Sanpaolo al progetto Yamal Lng di Novatek. Nel 2021, Intesa Sanpaolo e Cassa Depositi e Prestiti avevano anche confermato il sostegno (per una somma complessiva di circa 560 milioni di dollari) ad Arctic Lng-2, mega-progetto di liquefazione di gas sempre in capo a Novatek, in una delle aree più a rischio dell’Artico russo. In seguito all’entrata in vigore delle sanzioni varate dall’Unione europea nei confronti del Cremlino, Intesa Sanpaolo (che aveva già sborsato 50 milioni di dollari) e Cassa Depositi e Prestiti hanno deciso di congelare il prestito. Resta il fatto che, fra il 2016 e il 2022, Intesa Sanpaolo ha concesso circa 5 miliardi di dollari all’industria fossile russa, di cui 2,9 miliardi a Gazprom, la principale società energetica russa controllata dallo Stato. L’istituto di credito, inoltre, è al secondo posto tra le istituzioni finanziarie private, seconda solo alla banca statunitense Jp Morgan, per esposizione finanziaria ai progetti guidati da multinazionali energetiche russe (Novatek, Gazprom, Rosneft) più altamente impattanti in termini di emissioni di Co2 nell’atmosfera.

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