Da dove arriveranno i 3,4 miliardi con cui il governo Meloni intende finanziare un nuovo taglio del cuneo fiscale a partire da maggio? La domanda è lecita guardando le tabelle del Documento di economia e finanza appena pubblicato sul sito del Mef. Perché lo “spazio fiscale” disponibile per la misura riservata ai lavoratori dipendenti con redditi bassi è più basso rispetto a quello annunciato nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi dopo il cdm che ha approvato il documento. Lì si leggeva che il rapporto deficit/pil tendenziale, cioè quello al netto di nuovi interventi, si fermerà al 4,35%. Mantenendo quello “programmatico” al 4,5% ci sarebbe dunque uno 0,15% di deficit utilizzabile per ridurre il cuneo. Le tabelle e il testo del documento, però, indicano un tendenziale più alto: 4,4%. Pochi decimali che però valgono molti soldi: il margine scenderebbe allo 0,1% del pil nominale, cioè quello a prezzi correnti (gonfiato in questo periodo dall’esplosione del deflatore del pil per effetto dell’inflazione).

La spiegazione, fanno notare dal Mef, sta negli arrotondamenti. Nelle tabelle ci si ferma per convenzione a un solo decimale, quel 4,35 è evidentemente un po’ più vicino al 4,4 che al 4,3 e di conseguenza nelle tabelle è stata indicata la prima cifra. Il che fa risaltare ancora di più la particolarità del ricorso ai due decimali nel comunicato e nell’introduzione firmata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’unico precedente recente risale al 2019, ai tempi dello scontro tra il governo Conte 1 e la Commissione europea sul deficit con cui finanziare reddito di cittadinanza e quota 100, alla fine ridotto dal 2,4 al “2,04%” del pil. La questione però è tutt’altro che formale perché, appunto, dalla distanza tra i due numeri dipende la disponibilità delle risorse a deficit che il governo, nella relazione al Parlamento sul Def, chiede di poter utilizzare per “un provvedimento normativo di prossima adozione per sostenere il reddito disponibile e il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti nel 2023”.

Intervistato dal Corriere della Sera, il viceministro con delega al fisco Maurizio Leo afferma che il nuovo taglio del cuneo scatterà da maggio e, aggiungendosi alla riduzione del 2% già in vigore per chi ha redditi lordi tra 25mila e 35mila euro e a quella del 3% scattata da gennaio per chi è sotto i 25mila, “è come se fossero messi a disposizione 5,14 miliardi su base annua”. È la prova, per Leo, della “attenzione di questo governo verso il mondo del lavoro dipendente” e “una risposta al caro-vita” che si sta mangiando il potere d’acquisto delle famiglie. Anche se il risultato, per i lavoratori dipendenti, si limiterà a qualche decina di euro in tasca in più ogni mese a fronte di un’inflazione galoppante. Il governo di centrodestra ritiene che sia meglio procedere per questa via piuttosto che spingere per rialzi dei salari da parte delle imprese, perché occorre “limitare la rincorsa salari-prezzi, che renderebbe la vampata inflazionistica causata dai prezzi energetici e alimentari più sostenuta nel tempo”. Una diagnosi che ignora gli studi, anche di economisti della Bce, secondo cui ad alimentare i rialzi dei prezzi sono i margini di profitto delle imprese, saliti ben più di quanto giustificato dall’aumento dei loro costi operativi.

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