Il concetto è stato ripetuto fino allo sfinimento. Dopo ogni scivolone della Nazionale, dopo ogni eliminazione dei club italiani dalle competizioni internazionali. La Serie A, si dice, non è un torneo per giovani calciatori. Anzi, guarderebbe con aperto scetticismo ai ragazzi usciti dai vivai. È un concetto che è diventato tormentone. E che quindi ha perso molta della sua carica critica. Nei giorni scorsi infatti il Cies, l’Osservatorio sul Calcio con sede in Svizzera, ha pubblicato un rapporto che analizza l’impiego dei giocatori in base all’età in 126 Nazionali calcistiche sparse in tutto il mondo. E i dati della ricerca evidenziano un quadro molto più complesso di quanto si possa pensare.

Restringendo l’analisi alle selezioni europee, l’età media dei giocatori mandati in campo (dato molto più performante rispetto a quello sulle intere rose) oscilla fra i 29.4 anni in media del Belgio (la Nazionale più “vecchia”) e i 25.07 della Turchia (quella più “giovane”). L’Italia ha fatto registrare una media tutto sommato lusinghiera: con un’età media di 26.48 anni è la dodicesima Nazionale più giovane del Vecchio Continente, prima di Spagna (26.57), Francia (26.93), Olanda (27.40), Germania (27.45), Portogallo (28.18). L’unica “big” ad aver fatto registrare un dato migliore rispetto agli azzurri è stata l’Inghilterra, con 26.33. Il dato, però, cambia repentinamente se si prendono in esame le fasce d’età. Solo il 6.7% dei calciatori schierati da Mancini ha meno di 21 anni (mentre il 50.1% ha un’età compresa fra i 22 e i 25 anni). È un dato che pone l’Italia prima di Francia (5.7%), Portogallo e Olanda (5.8%), ma comunque sotto Germania (6.8%), Belgio (7.1%), Inghilterra (14.4%) e Spagna, letteralmente inarrivabile con addirittura il 18.6% di giocatori schierati con meno di 21 anni. Eppure i dati delle Nazionali non si rispecchiano necessariamente in quelli fatti registrare dai singoli tornei di riferimento. L’età media dei giocatori che sono stati schierati in Serie A è di 26.2 anni. Meglio di Spagna (27.8 anni in media) e Premier League (26.9), ma grossomodo quanto fatto messo a referto dalla Bundesliga (26.1), un campionato che viene percepito come un vero e proprio laboratorio di giovani calciatori. Il torneo più “giovane” del Vecchio Continente, dunque, sarebbe la Ligue1, dove i calciatori che sono stati mandati in campo hanno un’età media di 25.9 anni.

Ma l’Italia, dunque, è un davvero un Paese per “vecchi?”. Per rispondere alla domanda è necessario prendere in esame un altro dato, non inserito nel rapporto del Cies, ossia il numero di minuti giocati da calciatori con meno di 21 anni in ogni campionato nazionale. E qui la questione cambia sensibilmente. Solo cinque under 21 hanno giocato più di mille minuti (su 2610 disponibili): Coppola dell’Hellas (1024), Baldanzi dell’Empoli (1319), Højlund e Scalvini dell’Atalanta (rispettivamente 1399 e 1626’) e Udogie, l’unico ad aver superato quota 2mila minuti disputati (2173). In pratica, nessun Under 21 ha accumulato più di mille minuti in una delle prime cinque squadre della A. Una miseria, soprattutto se si pensa a quanto fatto registrare dagli altri tornei. Nella Liga, ad esempio, sono undici gli under 21 ad aver superato il muro dei mille minuti e cinque di loro hanno superato il traguardo giocando nel Barcellona (Gavi, Alejandro Baldé, Pedri e Ansu Fati) o nel Real Madrid (Camavinga, 15 presenze da titolare e 1452 minuti giocati). In Bundesliga, invece, sono 10 i giovani che hanno superato il muro dei mille minuti (fra cui Bellingham del Borussia Dortmund e Musiala del Bayern), mentre il Ligue1 sono addirittura 18 gli Under 21 ad aver messo nelle gambe più di mille minuti (con il Lione che ha raggiunto il traguardo con 4 calciatori: Lukeba, Malo Gusto, Lepenant e Cherki, mentre Barcola è a quota 938’). L’unico campionato che ha fatto registrare gli stessi numeri della Serie A. Ed è la Premier League: solo 5 giocatori hanno infatti superato quota mille minuti: Lavia (Southampton), Elliott (Liverpool), Hickey (ora al Brentford, ma che lo scorso anno aveva giocato titolare al Bologna), Gnonto (Leeds) e Bueno (Wolves).

Il cuore del problema, però, sembra essere un altro. L’Italia fa giocare poco i giovani. Ma è anche un Paese che ormai produce pochi Under 21 pronti per giocare in prima squadra. L’emorragia di talento è ormai palese e riguarda più ruoli. Oltre alla mancanza di centravanti, che ha portato alla naturalizzazione di Retegui, anche i centrali di difesa stanno vivendo una drammatica fase di involuzione, tanto che i ricambi di Chiellini e Bonucci non si sono dimostrati all’altezza. La sensazione è che manchino proprio i grandi talenti, quelli che con le loro qualità rendono la carta di identità un fattore secondario. Alla fine Donnarumma ha esordito in Serie A a 16 anni e 8 mesi, ed è diventato titolare di una squadra di prima fascia come il Milan. Zaniolo ha esordito in Champions League con i giallorossi a 19 anni ed è stato convocato in Nazionale ancora prima di aver giocato in Serie A. E ancora Bastoni è diventato un titolare nell’Inter a 20 anni, il Diavolo ha vinto uno scudetto con Kalulu ventunenne, mentre Hickey si è preso il Bologna a 19 anni. E ancora la Roma ha puntato su un Romagnoli diciassettenne, la Juventus su un Moise Kean diciottenne, Balotelli ha trovato continuità con l’Inter ancora prima di essere diventato maggiorenne. L’elenco è parziale, ma serve per dimostrare che anche in una realtà giurassica come l’Italia il talento puro riesce a trovare un modo per emergere e trovare continuità. Purtroppo quello che manca è la materia prima, una nuova nidiata di talenti capace di affermarsi anche nei club più ambiziosi.

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