Non è solo la mancanza di asili nido o l’esiguità dei vari bonus, che pure pesano. Le coppie italiane fanno meno figli di quanti ne vorrebbero perché si scontrano con i mali strutturali della nostra economia e della nostra società. Il micidiale mix fra abuso del precariato e basse retribuzioni (anche per chi ha il “posto fisso”). Il costo delle case, spesso proibitivi nelle aree più “dinamiche”. L’ostilità di molti nostri imprenditori e manager alla maternità, che troppo spesso mette a rischio le carriere, quando non il lavoro stesso. Il meccanismo perverso dell’Isee, che ormai fa apparire “ricche” – e dunque non meritevoli di aiuti pubblici – anche le famiglie che raggiungono un tenore di vita appena dignitoso. E così via.

È quello che ci dicono le tantissime mail dei nostri lettori e delle nostre lettrici, a cui abbiamo chiesto di spiegarci perché hanno rinunciato a fare figli, o ne hanno fatti meno di quanti ne avrebbero desiderati. Un tema centrale, perché i raffronti internazionali dicono che in Italia il rapporto tra figli messi al mondo e figli desiderati è fra i peggiori d’Europa: statisticamente, per ogni due bambini desiderati, ne nascono solo 1,25. Questo significa che la crisi delle nascite non è dovuta a scelte individuali, ma a un sistema che ostacola la genitorialità. Di conseguenza può essere arginato con interventi opportuni, insieme all’inverno demografico a cui l’Italia appare condannata. Ora la palla passa al governo Meloni, il primo a inserire la “natalità” nel nome di un ministero, quello della Famiglia, retto da Eugenia Roccella.

Molte delle vostre storie arrivate in redazione sono pubblicate sul mensile FQ MillenniuM, diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 8 aprile con un numero che vi racconta chi ha ucciso la cicogna, condannandoci a un grigio futuro senza giovani, e che cosa si può fare – in fretta – per porre qualche rimedio. Qui sotto ve ne proponiamo altre, e altre ancora ne pubblicheremo nelle prossime settimane. Continuate a scriverci su questo tema all’indirizzo redazioneweb@ilfattoquotidiano.it, specificando “figli” nell’oggetto. Grazie.

“Con due lauree sono costretta al part time” – Ho due figlie rispettivamente di 6 e 2 anni, mio marito lavora tutto il giorno come macellaio va via all’alba e torna a casa quando le bambine sono già a letto. Abbiamo avuto due figlie ma ne avremmo voluti almeno 3, ora che ne ho due penso che se potessi tornare indietro deciderei di non averne del tutto e in fondo auspico che le mie figlie scelgano di non fare a loro volta figli, almeno in questo paese.

La gestione familiare è ancora pensata come se le famiglie fossero quelle degli anni ’30, grandi famiglie intergenerazionali che convivono nella stessa abitazione in cui gli esponenti femminili sono dediti all’accudimento dei figli e della casa. Possibile che lo Stato non si renda conto che la famiglia è cambiata in modo radicale negli ultimi decenni? Ci si sposta, ci si trasferisce lontano da dove hanno vissuto i propri genitori oppure semplicemente i nonni lavorano ancora quando vengono al mondo i nipotini e non possono oppure non vogliono partecipare al ménage familiare. Quale tipo di lavoro ha un orario compatibile con quello delle istituzioni scolastiche?

Io ho due lauree, faccio un lavoro che mi piace e a cui vorrei dedicare più tempo e risorse, ma mi serve avere flessibilità per occuparmi della famiglia, quindi me lo faccio bastare. Ho già diminuito il mio orario di lavoro per poter portare e prendere entrambe le bambine rispettivamente dal nido e dalla scuola dell’infanzia, ho un part time all’80 per cento con relativo abbassamento dello stipendio e impossibilità a migliorare la mia posizione lavorativa perché non ho tempo e spazio (anche mentale) per poter prendere delle maggiori responsabilità.

Per trovare una scuola materna che avesse il doposcuola comunale ho dovuto mandare mia figlia in un altro comune a circa mezz’ora da casa, nessuna delle scuole nelle vicinanze ha tuttora il servizio doposcuola infatti questo viene attivato solo al raggiungimento di un determinato numero di richieste. Io non posso sperare nelle condizioni favorevoli, io devo avere certezza del servizio altrimenti non lo posso scegliere se voglio tenermi il lavoro. Per sopravvivere a questo costo della vita non è pensabile che lavori solo un genitore e comunque non sarebbe corretto, ho studiato molto per avere la mia indipendenza e professionalità e non voglio rinunciarvi perché lo stato non si rende conto che la società è profondamente cambiata.

Le ferie che maturiamo io e mio marito non coprono le chiusure previste dal calendario scolastico, i mesi estivi sono un calvario per noi. Per i bambini sotto i 3 anni non esiste alcun servizio nel mese di agosto che supplisca all’assenza del nido perché sono troppo piccoli. Ogni tanto penso con preoccupazione a come faremo quando entrambe le bambine andranno alla scuola primaria e ci saranno 3 mesi di centri estivi a testa da trovare e pagare nel migliore dei casi, sperando che il tetris si incastri.

Qui un bambino è un peso, qui in Italia un bambino è un problema da risolvere, è una scocciatura e qui i bambini sono affari solo dei loro genitori non della collettività perché non sono considerati un bene comune. Insomma hai voluto la bicicletta caro genitore… ora pedala!
Martina S.

“Il padre separato finisce in mezzo alla strada” – Uomo 60 anni con due figli miei e 2 adottivi, tutti tra i 22 e i 33 anni (3 femmine e un maschio), tutti senza a loro volta figli. Ho chiesto loro perché non hanno intenzione di averne. La risposta in primis: non ci sono uomini disposti a farne perché in Italia l’uomo sposato, e ancora di più padre, in caso di separazione, si ritrova in mezzo a una strada. Perché la moglie ha tutte le garanzie per annientare finanziariamente, e per tutta la sua vita, un uomo.

In una società dove le separazioni interessano oramai il 50% dei matrimoni, come non attenzione la cosa in modo serio?
Altro problema, è che la società sta vivendo nell’esasperazione e in modo individualista.
Marco D.

“Abbandonati dallo Stato, i guai iniziano già con il rooming in” – Ho superato i 45 anni e dopo un divorzio senza figli, ho trovato una stupenda compagna con la quale ho iniziato una vita di coppia magnifica. Abbiamo subito deciso di avere dei figli, ne vorremmo due ma non sappiamo se riusciremo a coronare il nostro desiderio. Ad oggi siamo a metà strada, infatti il 7 marzo è nato il nostro primo figlio: Vittorio. Il parto è stato difficile ma la soddisfazione di questa creatura e della vita che inizia è impagabile.

Ora vivo la paternità e mi trovo dinnanzi ostacoli e incomprensibili incongruenze che mi fanno pensare: ma questa società vuole che mettiamo al mondo dei figli o no? Io sono convinto che sto dando un contributo allo Stato perché un figlio porta benessere economico, ma mi sento abbandonato e preso in giro dalle istituzioni. Questa è la nostra esperienza fresca fresca.

Partiamo dalla sanità. Il periodo di gravidanza viene seguito dai consultori che ci hanno spiegano egregiamente tante nozioni che poi, in ospedale, sono state disattese. Un esempio su tutte è il “rooming in“; ai corsi ti assicurano che in caso di stanchezza o per esigenze personali è possibile ricorrere al nido della struttura, ma in ospedale ti dicono che assolutamente non è così perché il nido è chiuso da anni. In più, in reparto, ti obbligano a dormire con il neonato nel letto mentre sulle guide che forniscono alle neo-mamme, scrivono l’esatto opposto.

Continuiamo con gli “incentivi”. Il nuovo governo avrebbe agevolato la natalità con l’assegno unico. Forse non si rendono conto che 50 euro al mese sono una miseria se rapportati ai costi reali di un figlio. Chiaramente l’assegno è proporzionale all’ISEE, altra discriminazione assurda. Noi siamo due dipendenti pubblici: una impiega amministrativa e un funzionario. Siamo fortunati e con due discreti stipendi ma non siamo di certo ricchi. L’ISEE supera i 40.000 euro all’anno e quindi ci spetta il minimo, al pari di quelli che guadagnano 100.000 euro e più all’anno.

I politici, che prendono stipendi assurdi (ben oltre i 100.000 euro lordi annuali), dovrebbero vivere con la paga di un operaio o di un impiegato per meglio calarsi nella realtà “vera” e poter così fare leggi tarate sul popolo e non sulle loro fantasie o sui numeri che forniscono le società di statistica o gli studi.
Germano V.

“Se lo Stato ci avesse aiutato, mio figlio magari avrebbe una sorellina” – Ho sposato una donna cinese che mi ha convinto a fare un solo figlio, maschio, in continuità con la precedente cultura maoista. I vantaggi per lui ma anche per la famiglia sono innegabili: evitate le mille acrobazie nel seguire 2 figli e i loro impegni, evitati in parte i relativi costi, ecc. L’altra sera però, guardando un film, commedia italiana con finale in crescendo di emozioni nel rapporto padre-figlia, mi sono commosso come non mi succedeva da decenni per aver perso il sorriso e gli abbracci della mia italocinesina dei miei sogni. 10000€ alla sua nascita, come dicono succede in Austria, forse ci avrebbero fatto cambiare idea.
Claudio B. (socio sostenitore di ilfattoquotidiano.it)

“Io ingegnere, lei impiegata, ma il secondo figlio ci renderebbe poveri” – Ho 41 anni, sono ingegnere civile strutturale, con il ruolo di Project Engineer (responsabile senior). CCNL. Il mio lavoro come responsabile di commessa prevede: gestione di progetti di infrastrutture civili e industriali con importi nell’ordine di diversi milioni di euro.
Caterina, 37 anni, (mia compagna), laureata in Lingue (110 e lode), impiegata presso l’università come tecnico amministrativo. CCNL. Dopo anni di precariato ora abbiamo un RAL (retribuzione annua lorda) cumulato di circa 55 mil euro. Casa di proprietà – NO mutuo – soldi ereditati. 2 auto di proprietà – NO finanziamenti – da soldi risparmiati. 2 moto di proprietà – NO finanziamenti – da soldi risparmiati.

Dopo questo quadretto, vi dico. La mia ragazza è incinta. Figliolo voluto e venuto.
In questo quadro è stato deciso di fare 1 solo figliolo, in quanto:
– il costo della vita è troppo alto per noi, nonostante siamo “fortunati” (rinunceremo alle vacanze… prezzi da 3000 € per una settimana in Sardegna non posso permettermeli).
– uscite economiche per ogni cosa molteplici..
– Le nostre retribuzioni non sono in LINEA con gli standard europei.
– efficienza del sistema sanitario scadente ( non vi dico l’epopea per prenotare posti)… si va a pagamento! per ogni cosa… visite mediche, dentista, oculista, dermatologica ecc.

Epilogo.
Il frutto del mio lavoro è finalizzato a mantenere uno status di “tranquillità”, perché non mi permette lussi. Nonostante ci si possa reputare una coppia “fortunata” infatti, i BASSI livelli di retribuzione NON allineati agli standard europei, se rapportati al costo della vita, nonché ai costi INDIRETTI E OCCULTI che questo paese ci riserva, non ci permettono di essere veramente “benestanti”, anche se dovremmo esserlo. Spesso sento politici da teatrino definire i laureati “la classe dirigente”… la verità è che:

– ho impiegato ANNI per laurearmi per guadagnare quanto (o forse meno) di quanto avrei guadagnato se non avessi studiato per nulla.
– idem la mia ragazza.
Perché farò un figlio solo? – perché diventerei POVERO.
Tiziano C.

“A 50 anni ancora precario e con il mutuo: una vita scivolata nell’attesa” – Non sarò mai nonno. A 50 anni sto vivendo quello che in altri paesi si vive a 30-35 anni: un lavoro qualificato precario , una casa con mutuo. Se si è puntato sulla laurea, un master, nel mio caso un dottorato durante il lavoro per rafforzare le competenze professionali, la vita è scivolata via in un’attesa beckettiana. Ricordo la sorpresa lungo le strade di Marsiglia per le tante ragazze con carrozzina, che nel mio immaginario distorto mi sono apparse inizialmente come ragazze madri. L’assenza di politiche per la casa, per l’autonomia dalle famiglie di origine, per i servizi (soprattutto in una citta abbandonata come Roma) sono evidenti se si ha avuto la possibilità di viaggiare un po’. In questa assenza di progettualità, le stesse relazioni si fanno difficili, spesso si trascinano nell’apatia o non partono per non mettere in discussione una routine asfittica dall’equilibrio fragile.
Mauro C.

“Nel lavoro sportivo precariato e nessuna tutela, nemmeno la maternità” – Ho 41 anni e lavoro come istruttore di nuoto federale presso un centro sportivo della provincia di Verona. Sono sposata dal 2021, mio marito lavora come impiegato in una azienda di marmi della Valpolicella e abbiamo una casa di proprietà coperta da un mutuo decennale a tasso fisso, con una rata gestibile. Sono laureata in Lingue e Letterature straniere dal 2001. Desidero avere figli da poco più di 5 anni ma tante paure e insicurezze mi hanno bloccata, fino quasi a desistere.

Innanzitutto la precarietà lavorativa; sono collaboratrice sportiva dilettantistica per una SRL SSD affiliata FIN. Questa forma di contratto non prevede nessuna tutela: maternità, ferie pagate e nemmeno i contributi versati. Questo contratto non è ritenuto valido al fine del conseguimento della NASPI.

È anni che attendo la riforma del lavoro sportivo che riconosca la mia figura professionale (la legge italiana riconosce l’Assistente bagnante ma non l’Istruttore di nuoto o l’Allenatore) per ottenere pari dignità giuridica e contributiva. Chiaramente, finché esiste questa forma di collaborazione una Società sportiva, che è anche SRL, sceglierà sempre questa formula, meno costosa, rispetto a quella di assunzione a tempo determinato per la stagione sportiva, che potrebbe già applicare.

La seconda ragione è psicologica. Sono una donna indipendente e l’idea della maternità mi spaventa. Dall’altro lato come donna vorrei concepire. Penso di sentire una leggera pressione sociale rispetto a questo, anche se indiretta, sia familiare che sociale. A 41 anni mi dico ormai di aver raggiunto l’età limite per il concepimento, oltre la quale non andare; nonostante l’età media per fare un figlio sia aumentata negli ultimi decenni. Inoltre ho avuto una famiglia anaffettiva, sono stata inascoltata, umiliata e repressa durante l’infanzia.

Diventare una persona integrata dal punto di vista sociale, psicologico e lavorativo è un percorso quindi che finora non mi ha permesso di diventare madre.
Eleonora P. (socia sostenitrice di ilfattoquotidiano.it)

“Il nostro secondo figlio? Una via crucis. E ho perso il lavoro” – Buongiorno, vi racconto in breve la mia vita e il perché non ho avuto il terzo figlio. Mi sono sposata incinta e l’unica mia certezza era il lavoro. Mio marito precario, in quel periodo. Nessun aiuto da parte dello stato, assegni familiari corrispondevano a 5 litri di latte… Mutuo, auto, babysitter etc etc era un’avventura arrivare a fine mese… Dopo 14 anni abbiamo avuto il secondo figlio. Altra via crucis, perdita del lavoro e varie ed eventuali… Anche volendo non ci stava un altro figlio…
Gabriella R.

“Costretti a lavorare tutti e due, ma gli aiuti dove sono?” – Io e mia moglie abbiamo una figlia di 6 anni ed avremmo tanto desiderato regalarle un fratellino o una sorellina. È però proibitivo per tante ragioni.
Primariamente per ragioni di ordine economico: il costo della vita è talmente alto (con la recente inflazione, poi, non ne parliamo), gli stipendi al palo da decenni (e nulla lascia presagire che possano salire in futuro), e basta essere proprietari di casa e lavorare entrambi per non vedersi concedere nulla o quali nulla dallo Stato in termini di sussidi. Poi per motivi di gestione e organizzazione: i miei genitori non ci sono più, i genitori di mia moglie sono ormai troppo anziani e non potrebbero in alcun modo supportarci con un secondo figlio. Siccome, come scritto sopra, lo Stato non viene incontro in nulla o quasi, occorrerebbe girare uno dei nostri stipendi a una persona che dia un aiuto per un numero di ore abbondantissimo. Una volta speso uno stipendio così (o una gran parte di esso), come viviamo?

A questo punto tanto vale che uno dei genitori rimanga a casa, ma questo non possiamo assolutamente permettercelo, dobbiamo lavorare in due (ricordo che alcuni decenni fa un solo stipendio era sufficiente per tirare avanti, anche se con sacrifici…). Nel caso di un secondo figlio, poi, occorre poter garantire a entrambi uno standard di vita un minimo dignitoso, e la possibilità di proseguire gli studi se vorranno farlo… mandarli a studiare in una città universitaria, con quello che costano adesso gli affitti, comporta esborsi veramente esagerati – e non credo affatto che tra quindici o venti anni le cose saranno migliorate, la tendenza qui è molto chiara. Queste le amare constatazioni. La sensazione è che i nostri politici non abbiano minimamente capito che devono incentivare in modo serio e concreto la natalità e la famiglia, cercando di allinearsi ad altri Paesi europei molto più virtuosi in tal senso. Dobbiamo nostro malgrado rinunciare a un secondo figlio; nonostante questa enorme amarezza, dobbiamo comunque essere immensamente grati a Dio per essere riusciti ad avere almeno una figlia, e dedicarci a lei con tutto l’amore possibile.
Diego D.

“Procreazione assistita e adozione? Percorso a (costosi) ostacoli” La verità è questa, e che se hai un minimo senso di responsabilità a fare figli ci pensi quando puoi garantirgli una stabilità e un futuro e quando hai la persona accanto giusta. O almeno per me è stato così.

“I miei genitori, con quattro figli, avevano più tempo libero di me” – Ho compiuto 40 anni l’anno scorso, ed ho due maschietti di 7 e 11 anni. Qualche anno fa avrei voluto farne un terzo magari una femminuccia, ma mi son reso conto che sarebbe stato davvero difficile andare avanti.

I miei principali problemi sono 2. Il primo di tipo economico. Attualmente abito in un appartamento con due stanze, una matrimoniale e una condivisa dai due bimbi. Se dovesse nascere una femminuccia, dove la metto? Sto ancora pagando il mutuo, per il quale mi mancano ancora 18 anni. E trasferirmi in un nuovo appartamento più grande sarebbe troppo oneroso per le mie finanze. Potrei anche riuscirci, ma sarebbe una vita sacrificata, ed è da poco che comincio a respirare economicamente. Il secondo motivo è il tempo. Per lavoro mi son trasferito in Lombardia, e non ho parenti che possano aiutarmi con la gestione dei figli. Quindi sono impegnato costantemente nella crescita dei figli. Portarli a scuola, varie attività extrascolastiche, compiti e tutto il resto, mangiare, vestire, giocare. Insomma manca il tempo materiale per crescerli. Ho l’impressione che oggi i figli richiedano più attenzioni di una volta. I miei genitori hanno avuto 4 figli, ed avevano più tempo libero di me. Oramai comincia a essere tardi per pensare al terzo, ma sono sicuro che sarà un rimpianto che mi porterò dietro per sempre.
Ivan M.

Mi sono laureata contro la volontà di mio padre solo grazie alla borsa di studio e al fatto che ho lavorato e studiato tutto il tempo. I miei non potevano permetterselo, ma io non volevo diventare come mia madre, ossia vivere da casalinga con un marito padrone. Finiti gli studi è stata un’impresa trovare il posto fisso, perché quando hai bisogno di soldi, più che i sogni cerchi lo stipendio che ti faccia stare tranquilla. Questo è arrivato quando avevo già 30 anni, nel frattempo ho continuato a fare anche due o tre lavori insieme. E sinceramente anche quando ho trovato il posto fisso, vivendo da sola, ho continuato a fare due lavori, quello da impiegata e quello nel week end come cameriera o barista. Sono stata trasferita spesso e anche lontano nel mio lavoro fisso e sinceramente non nego che ho “perso tempo” in alcune relazioni sbagliate. Anche se trovare qualcuno lavorando 7 giorni su 7… la mia priorità era andare avanti e mantenermi.

Quando finalmente ho smesso di girare e ho trovato la persona giusta avevo già 36 anni. A 38 ci siamo sposati e poi abbiamo comprato casa. A 40 rimango incinta due volte nel giro di 6 mesi, ma perdo entrambe le gravidanze. Da lì è iniziato il calvario della Procreazione medicalmente assistita. Prima omologa, poi eterologa. E intanto ho speso 35 mila euro. Nessuno che trova una causa, a me o mio marito. Voi direte: fallo con Usl. Peccato che i budget sono ridicoli e che ti mettono in liste interminabili e intanto superi i limiti di età e diciamo non è che ti seguano così tanto (oltre a farti spendere comunque per esami aggiuntivi).

E quando sento dire: ma perché non adotti? Io vorrei anche ma è da novembre 2021 che ci provo e ancora non ho il decreto del giudice. Prima un corso di 2 mesi, poi le analisi mediche, alla fine riesci a depositare la domanda al giudice, non senza difficoltà, poi mi fanno fare un altro corso, poi gli incontri con l’assistente sociale, quando sono finalmente vicina all’incontro con il giudice la psicologa mi fa rimandare tutto perché non ha fatto gli incontri dovuti. Quindi ad oggi non so quando andrò dal giudice, ma soprattutto c’è anche il rischio che non ci diano l’idoneità.

I rimpianti sono tanti, aver aspettato il momento giusto mi attanaglia. Ma sono anche incazzata con il mio ginecologo, che non mi ha esposto prima i problemi legati alla mia età e riserva ovarica. Dovrebbe esserci la cultura di congelare gli ovuli quando sei giovane. E sì. Datemi dell’egoista. Ma ho pensato anche alla mamma surrogata.
Silvia G.

“Primo figlio oltre i 40 anni, colpa del lavoro precario” – Io e mia moglie ci siamo sposati nel 2000, ho 54 anni e mia moglie 49, nel 2014 è nata la nostra bambina. Le motivazioni che ci hanno portato ad aspettare così tanto sono state legate al lavoro, soprattutto alla precarietà sul lavoro. Avere un lavoro precario non aiuta, al secondo posto sono i servizi che sono molto carenti e con politiche famigliari molto distanti dai reali bisogni. Lo Stato non investe sui figli in quanto tali e gli scarsi aiuti economici vengono legati all’ISEE cosa assolutamente sbagliata. I figli oltre che completare una famiglia sono il futuro, sono la vera ricchezza del nostro Paese, ma se è lo Stato per primo a non credere in questo e crea al contrario situazioni di insicurezza sociale, come facciamo a fare più figli? Quindi ci si accontenta. Io e mia moglie siamo tra coloro che si sono accontentati, ne avremmo voluti 2 ma se avessimo avuto 2 figli, uno dei due avrebbe dovuto rinunciare al lavoro, questo è il problema. Quindi in tutto questo ha avuto un peso enorme la mancanza di politiche di conciliazione fra lavoro e famiglia.

Purtroppo in questo paese è sempre la donna a essere più penalizzata ed intralciata. I più fortunati hanno i nonni giovani e quindi possono sopperire alle mancate politiche famigliari dello Stato, ma nel nostro caso non potevamo delegare il welfare famigliare a 2 nonne anziane con problemi di salute.

Lo Stato pensa che dare soldi come assegni famigliari sia sufficiente, tra l’altro anche pochi invece di dare servizi gratuiti, d’altronde le tasse che noi paghiamo servirebbero per questo.Poi ci sono le aziende che pensano solo al loro profitto e se chiedi flessibilità per accudire i figli sei un peso. Manca una cultura famigliare, se hai dei figli e hai giustamente delle necessità in quanto i bambini si ammalano, hanno dei bisogni, come ho già detto sei un peso.
Gianluca G.

“Sono gay, ma qui la maternità surrogata è vietata” – La ragione per cui ho dovuto rinunciare ad avere figli, pur potendone ancora avere, è che sono gay, e in questo paese l’omosessualità è una croce da portare sempre. La maternità surrogata è proibita e in molti casi il tema viene stigmatizzato, perché sarebbe accessibile solo da parte di persone benestanti (non si pensa mai che in Italia potrebbe rientrare nelle cifre del Ssn, verrebbe letto come privilegio) o peggio, perché sarebbe sfruttamento del corpo delle donne. Tolti esempi particolari come l’Ucraina pre-guerra, ci sono Paesi (come gli Usa, a sanità privata, o il Regno Unito, a sanità pubblica) dove la Gpa è strettamente regolamentata e non viene percepita una manipolazione della volontà o del corpo della donna, né un lucro per nessuno. Ma combattere una successiva battaglia legale per il riconoscimento non è cosa da poco e molti, me incluso, rinunciano in partenza. Con un’amarezza indicibile.
Roberto P.

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