Matteo Renzi è il nuovo direttore de il Riformista. Lo sarà per un anno, come ha annunciato presso la sala conferenze dell’Associazione della Stampa estera in Italia. Prende il posto di Piero Sansonetti che lascia la direzione de Il Riformista per passare a quella de l’Unità. Il leader di Italia Viva si è detto felice di questo incarico, che porterà avanti insieme al suo ruolo di senatore e di co-fondatore del Terzo polo con Calenda.

Cosa spinge un parlamentare come Renzi, con la sua attenzione alla comunicazione e sua storia controversa in politica e le sue vicende giudiziarie, a mettersi a dirigere un giornale?

I vantaggi possono essere vari sul piano della comunicazione. Fra le righe delle sue dichiarazioni in conferenza stampa possiamo cogliere quelli che probabilmente lo hanno spinto ad accettare questo incarico. “Ho una passione vera con tutto ciò che ha a che vedere con verità e viralità. Dopo la sconfitta referendaria l’unica cosa che dissi è che ‘stiamo entrando nell’era della post verità’” ha detto.

Il primo punto riguarda quindi la lotta alle fake news, di cui lui ha più volte dichiarato di sentirsi vittima. Per questo querela spesso i giornali – senza molta fortuna – come il Fatto sa bene.

Chi conosce il crisis management sa che un conto è replicare all’attacco di un giornale (basato o meno su fake news) attraverso i propri social, un altro è farlo sullo stesso mezzo di comunicazione, un giornale appunto, attraverso un articolo scritto da un giornalista che racconti una versione diversa della storia. I social, essendo autoreferenziali e non necessitando di alcuna verifica sui contenuti, sono per loro natura poco credibili e per nulla autorevoli. Un giornale, al contrario, è un mezzo credibile e autorevole tanto quanto quello da cui proviene l’attacco, se arriva dalla stampa, e lo è molto di più rispetto a un profilo social. Ovviamente questo vale dal punto di vista tecnico, per le regole alle quali dovrebbe sottostare una testata giornalistica.

Renzi potrà dunque difendersi con più efficacia da vere o presunte fake news sul proprio conto. Specialmente quelle che riguardano i suoi processi, tema che gli sta molto a cuore come spiega nel suo libro Il Mostro. Il Riformista infatti è un giornale radicalmente garantista, come ha ricordato lo stesso Renzi in conferenza stampa, assicurando che sotto la sua guida si continuerà a parlare molto di cronaca giudiziaria, ma non di quella che lo riguarda perché “l’inchiesta Open non arriverà mai a sentenza di condanna”, prevede.

“Continuerò a fare il parlamentare, continuerò a fare opposizione e inizierò a fare questa operazione di verità con il Riformista”, ha detto in un altro passaggio, chiarendo poi che il suo sarà un giornale di “informazione schierata”. Quando un potente, in politica o nell’industria, dirige o compra un giornale, lo fa in molti casi per tentare di influenzare l’opinione pubblica.

In un tweet sintetizza perfettamente il punto Claudio Velardi, che il Riformista l’ha fondato, conosce bene Renzi ed è un esperto di comunicazione politica, avendo gestito diverse campagne elettorali ed essendo stato consigliere politico di Massimo D’Alema: “Geniale l’idea di fare Matteo Renzi direttore de il Riformista, quotidiano che fondai nel 2002. Il politico più intelligente e dinamico d’Italia, al momento senza un ruolo, avrà una tribuna quotidiana per dire la sua e incidere nel dibattito pubblico. Ci sarà da divertirsi!”.

In questo caso, trattandosi di una singola testata per Renzi, in quanto direttore de il Riformista, e non fra quelle più lette, possiamo ridimensionare il concetto di influenza, riducendolo all’avere la garanzia di ricevere buona stampa, ovvero notizie positive sul suo conto, da almeno un giornale ogni giorno: quello che dirige. Questo non è poco, perché il Riformista è presente nelle rassegne stampa, sui motori di ricerca e, come tutti i giornali, viene usato come fonte da altre testate.

Renzi ha annunciato un periodo di pausa dai talk show. Forse è realmente stanco del livello del dibattito. Oppure potrebbe trattarsi di una strategia per portare più attenzione sul giornale, come fecero Beppe Grillo e Casaleggio 10 anni fa, rifiutando gli inviti in tv per comunicare solo dal loro blog.

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