Il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha imposto una riforma del sistema pensionistico che aumenta l’età della pensione ricorrendo a forzature che la Costituzione francese prevede, ma che non erano state usate in precedenza e che hanno scatenato scioperi e proteste in tutto il Paese. La riforma di per sé è blanda: innalza l’età del pensionamento da 62 a 64 anni per molte categorie di lavoratori ed è motivata dalla necessità di mantenere l’equilibrio del sistema pensionistico.

Le proteste sono difficilmente giustificabili: la sostenibilità del sistema pensionistico è problematica in tutti i paesi avanzati e l’aumento dell’aspettativa di vita crea problemi economici rilevanti. Proviamo a fare un calcolo molto semplice: immaginiamo un lavoratore che inizia a lavorare a 21 anni e smette a 65 dopo aver versato 45 anni di contributi. Supponiamo che questo lavoratore guadagni 12mila euro all’anno e che ne versi 5mila all’anno come accantonamento pensionistico; non ha importanza se è un lavoratore autonomo e la sua pensione deve detrarla dal suo guadagno (cioè guadagna 17mila e ne versa 5mila a un fondo pensionistico) o se è un lavoratore dipendente (cioè guadagna 12mila e gli vengono trattenuti 5mila tra contributi versati da lui e dal datore di lavoro): quello che conta è che l’accantonamento è pari al 29% di quello che sarebbe il suo reddito (17mila) se non fosse necessario pensare al futuro.

Supponiamo che il capitale versato si rivaluti dello 0,5% all’anno in più dell’inflazione: questo equivale a ragionare su una rivalutazione dello 0,5% composito in un regime di inflazione uguale a zero. Al compimento del 65esimo anno questo lavoratore potrà contare su un capitale pensionistico di 251.600 euro (225mila derivanti dai contributi versati, il resto dagli interessi), dal quale comincerà a prelevare 12mila euro ogni anno; il residuo continuerà a rivalutarsi, ma vi sarà un consumo di capitale. Il capitale si ridurrà a zero quando il lavoratore avrà poco più di 86 anni. Se il lavoratore muore prima di questa età il sistema pensionistico accumula risorse (fatto salvo l’eventuale assegno di reversibilità); se vive più a lungo il sistema pensionistico deve far fronte con le risorse accumulate o con il contributo della fiscalità.

Il calcolo qui presentato è ottimistico e semplicistico: per una stima più accurata dell’aliquota di equilibrio si può vedere, ad esempio, questo studio della Banca d’Italia; ciononostante non è irrealistico: i conti sono quelli che sono e la speranza di vita degli italiani alla nascita è attualmente di 84 anni, ma si deve considerare che questo valore è abbassato dalla mortalità infantile e giovanile, di persone che non entrano affatto nel sistema del lavoro e delle pensioni. Un giovane che inizia a lavorare a 21 anni, come nel nostro esempio, e ha quindi superato l’età della mortalità infantile ha una aspettativa superiore e il limite degli 86 anni è plausibile. In pratica abbassare l’età del pensionamento significa chiedere che qualcun altro contribuisca a pagare la nostra pensione che eccederà quanto abbiamo versato o che sia pagata in debito e quindi scaricata sulle generazioni future.