Al congresso della Cgil è il momento delle promesse che all’opposizione sono sempre gratis. Ma a quasi sei mesi dal disastro delle Politiche, tra battaglie elettorali in ordine sparso e voti risucchiati da un oceano di astensione, i leader dei partiti che si battono contro il governo di destracentro si ritrovano, si parlano e assicurano che ci sarà una “prossima volta” per proseguire la conversazione. Sia per tentare una qualche azione efficace in questa legislatura – nei limiti del (poco) possibile – sia per provare a costruire una possibile piattaforma per il futuro. A partire dai temi. Il primo è il salario minimo, scelto dalla segretaria del Pd Elly Schlein come suo esordio in Parlamento nel premier question time in un confronto diretto con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Su questo è il leader di 5 Stelle Giuseppe Conte che propone “un patto tra le opposizioni“, ricordando che d’altra parte è “una battaglia da sempre del M5s”. “La vera sfida – dice Conte – è ritrovarci tutti sul terreno delle proposte concrete e i contenuti di queste proposte sono una prospettiva d’azione comune”. Ed è Schlein che, prima dei saluti, lancia l’invito a rivedersi: “Dobbiamo proseguire il confronto su tutti i contenuti per essere più efficaci nel nostro ruolo di opposizione” spiega. “Chiudiamoci in una stanza, anche fino a notte fonda, per trovare qualcosa da fare insieme” incalza. Lucia Annunziata, che modera il dibattito, prova a sintetizzarlo in una formula in lingua giornalese: “Coordinamento anti-Papeete“. Quando a sinistra si è avuto fretta di dare un nome alle cose, con tanto di foto di gruppo come pure è successo a Rimini, non è mai andata granché bene e quindi la segretaria del Pd ha lasciato un po’ cadere la cosa.

Ma le risposte da parte degli altri potenziali contraenti dell’accordo sono tutte sì, anche se con registri diversi tra loro. Nicola Fratoianni, da sinistra, risponde che “siamo già in ritardo”. Conte stesso – che sottolinea che “l’obiettivo di ogni forza progressista è battere la destra conservatrice” – si rivolge direttamente a Calenda perché sia della partita per esempio sui cambiamenti climatici perché bisogna ritrovarsi e difendere “le tecnologie eco-compatibili“. E perfino il leader di Azione e del polo centrista arriva a dire che un confronto “sul merito” ci deve essere “sempre, non c’è mai una preclusione ideologica”. L’esempio, replica, è che “io e Giuseppe” – dice – ci stiamo già confrontando sul tema del salario minimo: “Ci sono punti su cui possiamo lavorare insieme e abbiamo il dovere di farlo”. Si sono scambiati anche i testi delle rispettive proposte, racconta.

Durante il dibattito, che si è consumato più o meno in due giri di interventi, il leader libdem era stato meno indulgente su altre questioni. Anzi, si era guadagnato anche un po’ di fischi quando – poco dopo aver preso la parola – aveva deciso di far partire il confronto così: “Potrei governare con le persone che sono qua? No”. La platea rumoreggia contestandolo, evidentemente perché “affamato” di unità nel fronte progressista e stanco di perderle tutte. E Calenda risponde: “Volete All you need is love o come stanno le cose? Poi fate i fischi. Ma non condivido la linea di politica estera: il popolo ucraino va sostenuto militarmente fino alla sconfitta della Russia. Non è vero che il Job Act non ha creato posti di lavoro”. Di nuovo interrotto dalle contestazioni, Calenda ribatte: “Voi fate 200 milioni di manifestazioni per difendere la democrazia, almeno fatemi finire di parlare”. “Non sono assolutamente convinto – ha proseguito – che la politica del M5s e mi pare anche del Pd, per quanto riguarda l’ambiente e l’energia, sia compatibile col fatto che la manifattura rimanga in questo Paese. Alla Cgil dico di stare molto attenta: dire che non ci vogliono i rigassificatori vuol dire chiudere il polo industriale dell’alluminio in Sardegna. Questo è un problema che ha tutto l’impianto ideologico della Ue. Non penso che il motore a scoppio debba essere chiuso nel 2035. Penso che ci vogliano 11 termovalorizzatori tra centro e sud Italia. Su tutti questi punti io la penso agli antipodi di chi è seduto qui, non è poca roba”.

A prescindere dal merito delle varie questioni (i presunti meriti del Jobs Act, la transizione col freno a mano sulle auto a motore), in effetti a vederlo oggi il fronte delle opposizioni ha più di un problema di integrazione. O meglio: è complicato tra sedicente terzo polo e resto del fronte progressista. Per esempio proprio sul lavoro la missione sembra impossibile. Perché con la leadership di Schlein è il Partito democratico ad aver dato una sterzata con prua verso i 5 Stelle. La segretaria democratica cita esplicitamente l’esempio di Yolanda Diaz, la ministra del Lavoro del governo Sànchez, che rappresenta l’ala più di sinistra della coalizione dell’esecutivo spagnolo. Schlein propone di fare come Diaz, cioè “una lunga discussione per limitare i contratti a termine, perché il 62% dei lavoratori più giovani conosce solo questi contratti. La Spagna dimostra che è una discussione che si può fare con le organizzazioni datoriali e sindacali e trovare una via che possa spezzare la precarietà“.

Conte gioca nello stesso campo di gioco: annuncia per esempio di aver depositato una proposta di legge a sua firma per la riduzione dell’orario di lavoro e parla di aperture anche “dalla Cgil e dal Pd”, come sul salario minimo. La riduzione del tempo di lavoro “è la nuova frontiera abbracciata già da altri paesi che dovrebbe consentire di” tenere insieme “qualità di lavoro e di vita“. Oggi, aggiunge, “registriamo dei passi avanti per quanto riguarda la condizione dei lavoratori perché il riconoscimento da parte della Cgil e il Pd che va bene la proposta di salario minimo legale è un passaggio significativo perché ci consente di rivendicare l’importanza della contrattazione ma anche di fissare un paletto minimo che segna quando il lavoro è nello sfruttamento e quando raggiunge la soglia di dignità“. Il senso di queste prove di avvicinamento, dice Fratoianni, è che “abbiamo rinunciato alle nostre bandiere e che le hanno prese in mano gli altri” e invece “riprendiamole in mano quelle bandiere e torniamo ad alzarle“.

Si inserisce qui dentro il tentativo apparente di Schlein di tessere la tela. La mossa in Parlamento sul salario minimo di ieri è stato il primo passo. Anche durante il dibattito davanti ai delegati della Cgil sembra individuare i temi su cui avvicinare le distanze. “Se siamo qui – ragiona – è anche per capire come possiamo nel rispetto dei reciproci ruoli riannodare questi fili per evitare che molte persone pensino che la politica non serva più per migliorare le condizioni di vita”. Per esempio: “Se ragioniamo di temi e di merito ci sono battaglie comuni da portare avanti insieme nel Parlamento e nel Paese”, sottolinea, ricordando ad esempio che con la manovra il governo “ha deciso di colpire i poveri anziché la povertà“, il Sud, la scuola, la sanità pubblica, il mercato del lavoro. La sanità, per dire: “Ho letto con interesse le proposte del Terzo polo e di Azione – scandisce la segretaria – e mi sono confrontata spesso con Giuseppe e Nicola. Servono risorse, personale, ramificare la cura sul territorio” perché “il diritto alla salute non può dipendere da quanto dista la mia casa da un grande ospedale di un centro urbano”. Manca il capitolo del “come”, come spesso le contesta in particolare qualche club di Twitter, ma è evidente che siamo alle battute iniziali, quelle per intendersi su quale strada prendere, per tracciare una meridiana e per distinguersi dalla visione di chi governa oggi. Vale lo stesso per la scuola. Bisogna difenderla perché è la “prima grande leva di emancipazione sociale e di riduzione delle disuguaglianze” mentre “qualcuno mette il merito nel nome del ministero prima di dire che ogni bambino e bambina ha diritto a una istruzione di qualità“. Vuol dire “garantire il diritto allo studio” ma anche “pagare meglio gli insegnanti lontano da quel concetto di gabbie salariali che dimentica che siamo il Paese che li paga meno in Europa e se cediamo un millimetro sulla qualità dell’insegnamento e sulla dignità sociale del ruolo di chi insegna cede di un millimetro anche la nostra democrazia”.

Qualche parola forse magica o forse no per mettere d’accordo l’alfa e l’omega delle minoranze. Conte, per esempio, disegna più o meno lo stesso schema i cui vertici sono 4 punti. Da una parte è molto realista quando dice che “sono discorsi astratti” dire, oggi, che governerebbe con questo o quello”. “Parlare di alleanza – aggiunge – significa anticipare una prospettiva di strutturazione delle forze assolutamente prematura, questo è il momento del dialogo, del confronto e dell’elaborazione di soluzioni concrete”. Però, riflette, partiamo da questi 4 grandi patti: lavoro, sanità, scuola e disuguaglianze e “cerchiamo di costruire contenuti che ci possano dare un orizzonte di marcia comune e poi di lì si vedrà se c’è un perimetro”. Sul fisco, per esempio, il leader M5s annuncia che “scenderemo in piazza con i sindacati, da soli e con tutti gli altri partiti che vorranno opporsi” perché la delega fiscale proposta dal governo è “un progetto recessivo per il paese che favorisce le fasce più agiate: abbiamo una controproposta per un fisco più equo e progressivo“. Schlein sulla flat tax aveva appena finito di dire che “è una baggianata dire che si abbassano le tasse a tutti”: così si “favorisce chi sta meglio, chi ha redditi più alti vedrà maggior guadagno”. Era stato Maurizio Landini a fare un appello ai 4 leader di opposizione parlando di un Paese, l’Italia, che “sta in piedi co le tasse pagate da lavoratori dipendenti e pensionati. E lo dico chiaro: mi sono rotto le scatole ad essere sempre io a pagare anche per chi non le paga e che sia sempre io a garantire quella sanità pubblica al posto di chi non lo fa ma la usa. Il fisco invece è un nuovo patto per la cittadinanza e se il 90% dell’Irpef lo sborsano dipendenti e pensionati il governo però ne parla solo con imprese o con chi le evade, le tasse”.

Fin qui le cose possibili. Poi ci sono le salite più ripide. A nessuno è sfuggito che dal palco di Rimini è rimasto fuori il grande totem di pietra, la guerra in Ucraina, che a un anno dall’invasione della Russia non logora solo il sostegno dell’opinione pubblica e le convinzioni di chi governa, ma anche chi sta all’opposizione.

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