di Luca Mancini

Leggendo la lettera della preside Annalisa Savino, dirigente del Nostro Istituto Leonardo Da Vinci, appare subito evidente che non sia indirizzata all’attuale governo. Le sue parole condannano la brutalità di comportamenti individuali come la violenza, l’intolleranza, la prepotenza fisica e verbale che proliferano in seno all’indifferenza. È proprio quest’ultima che rappresenta il primo vero problema sociale.

È una lettera di solidarietà alle vittime di tutti i tipi di aggressione e una coraggiosa motivazione rivolta a chi non ha il coraggio di riconoscere il pericolo della violenza.
Come non condividere un appello così umano, sincero ed universale?

Il governo, tramite un suo esponente, declassa la lettera a strumentale messaggio politico. Evidentemente, senza essere stato nominato né direttamente né indirettamente, è convinto che la condanna alla violenza e il dissociarsi dal metodo d’indifferenza tramite il quale si instaurò il peggiore regime italiano siano mosse politiche contro l’attuale governo riconoscendosi automaticamente in ciò che la preside denuncia.

Ricorda un po’ una vecchia storia che permise agli abitanti del villaggio siciliano dove nacqui di smascherare la più grande truffa di mele del Sud Italia. Ve la racconto brevemente.

Una mattina il maestro della scuola si svegliò di buon’ora e, abituato a una casalinga colazione, preparò il suo caffellatte, due fette di pane e una bella mela lucida. Era solito consumare la colazione nell’ordine in cui l’ho descritta, ma ultimamente, morsicando la vivida buccia colorata della mela, scopriva un sapore aspro che mostrava la decomposizione interna del frutto. Le prime volte diede la colpa al caso ed elogiò la varietà della natura. Nelle ultime settimane però non ci fu una sola mela che riuscì a mangiare. Le dovette buttare tutte. È risaputa la pericolosità del cambiamento nella mente di una persona abitudinaria, così una mattina che si sveglio più agitato del solito all’ennesimo morso di una mela marcia uscì di casa di corsa, così, com’era vestito, in pigiama e ciabatte, urlando di voler far arrestare chiunque vendesse mele marce. Non si dava pace, correva urlando.

Un uomo, udite le parole, lo fermò e si presentò come un onesto venditore di mele. Gli chiese ulteriori dettagli. Il maestro cercò la sua complicità spiegandogli che ne avrebbe tratto vantaggio anche lui se la concorrenza marcia si fosse fermata, ma il venditore cercava di persuaderlo a lasciar perdere, che era una causa persa, che sarebbe stato impossibile trovare il truffatore. Il maestro non mollava, era quasi in preda a un delirio collerico e il venditore gli assestò due schiaffoni in piena faccia che lo fecero barcollare.

Quando si riprese, la vampata emotiva si smorzò e la lucidità razionale riprese il sopravvento. Si sentì fin ridicolo per le sue azioni, abbattuto si convinse a lasciar perdere. I due si separarono, il maestro – ripresa la capacità razionale – analizzò a fondo le parole dell’uomo e i motivi dei suoi gesti violenti. Si insospettì subito. Lo lasciò allontanare qualche passo, poi iniziò a seguirlo. Lo pedinò fino alla sua bottega, riconoscendo in vendita le stesse mele che ogni mattina era costretto a buttare. Lo denunciò e la truffa fu scoperta.

Il maestro benché fosse una persona di spiccata e riconosciuta intelligenza non aveva particolari doti investigative, fu la reazione spropositata dell’uomo che gli mostrò la sua natura.

Analogamente la reazione del ministro Valditara dimostra che egli, e con lui l’esecutivo, si riconoscono in ciò che la preside, e tutti noi con lei, abbiamo intenzione di non accettare. La violenza si nasconde fra le parole e quelle del ministro ne sono un esempio lampante.

La ringraziamo, Preside, per quello che ha scelto di fare per noi e per averci dimostrato che l’indifferenza si combatte con la scelta, la scelta di riconoscere, di agire, di denunciare, di prendere posizione, di non avere paura. Noi scegliamo di stare con Lei.

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