Il decreto sui bonus edilizi varato a sorpresa giovedì dal governo Meloni ha fatto salire sulle barricate opposizione e costruttori, convinti che lo stop alla cessione dei nuovi crediti affosserà un settore finora dopato dalle detrazioni. Ma insieme a quella decisione, obbligata dopo le nuove regole Eurostat sull’impatto in termini di deficit pubblico, sono arrivati anche gli attesi chiarimenti sul nodo della responsabilità in caso di frodi. E sia le banche sia i commercialisti ritengono che l’intervento spiani la strada allo sblocco dei crediti rimasti incagliati, togliendo dal limbo le imprese edilizie e le famiglie che hanno fatto ristrutturare casa.

L’articolo 1 del provvedimento, infatti, limita al minimo la possibilità che gli anelli della catena successivi al primo siano chiamati a restituire l’eventuale importo non spettante. L’azienda che ha concesso lo sconto in fattura, la banca che ha comprato il credito e anche il correntista a cui dopo il decreto Aiuti quater l’istituto può cederlo (nel caso abbia superato la propria capienza fiscale) saranno responsabili in solido con il proprietario dell’edificio su cui sono stati fatti i lavori solo in caso di dolo. Salta dunque la responsabilità per “colpa grave“, che si configurava per esempio – stando all’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate – quando il credito veniva comprato in assenza della documentazione richiesta o nonostante una “palese contraddittorietà della documentazione prodotta dal cedente”. Da ora in poi, invece, si potrà essere chiamati in causa solo in caso di dolo – cioè quando si era consapevoli che il credito non esisteva o era evidente che fosse falso – o quando non si hanno in mano le carte relative ai lavori da cui nasce il credito e non si può dimostrare di aver agito con diligenza. O addirittura che la negligenza è stata “non grave”.

Secondo l’Abi, che ha inviato agli istituti una missiva di cinque pagine firmata dal vice dg Gianfranco Torriero in cui illustra i contenuti del decreto, il provvedimento “fornisce un chiarimento e un utile contributo per la maggiore certezza giuridica delle cessioni dei crediti e contribuisce a riattivare le compravendite di tali crediti di imposta”. Anche se ora serve – si legge in un successivo comunicato, firmato anche dall’Ance – una “misura tempestiva” che consenta “immediatamente alle banche di ampliare la propria capacità di acquisto utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, compensandoli con i crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese e acquisiti dalle banche”, visto che “i tempi del riavvio di tali compravendite non sono compatibili con la crisi di liquidità delle tante imprese che non riescono a cedere i crediti fiscali”.

“Vengono risolte diverse questioni relative a controlli e responsabilità: chi una Cila fatta prima del decreto ora si muoverà con più tranquillità”, commenta Matteo De Lise, presidente dell’Unione nazionale dei giovani dottori commercialisti ed esperti contabili. “Così si completa lo sblocco dei crediti. Lo stop alla cessione dei crediti futuri, però, crea un grosso problema in termini di liquidità e debiti alle imprese che avevano lavori programmati ma non ancora avviati. Da oggi in poi per un condominio sarà molto difficile deliberare il via libera a un lavoro, visto che senza lo sconto in fattura le condizioni saranno ben diverse. Il comparto edile, fino a qui dopato, subirà un rallentamento”.

Il governo Meloni ha deciso lo stop dopo che Eurostat, nell’aggiornamento del Manual on Government Deficit and Debt, ha sancito che – per il futuro – i crediti trasferibili a terzi devono essere “registrati nei conti nazionali come un’attività del contribuente e una passività del governo”. Stando all’ultima rilevazione dell’Enea, risalente all’11 gennaio, gli investimenti ammessi a detrazione per il Superbonus al 31 dicembre 2022 ammontavano a 62,4 miliardi con un costo a carico dello Stato pari a circa 68,74. Aggiungendo bonus facciate e altre agevolazioni si arriva a circa 110 miliardi.

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