“Non so se realizzo margini perché devo adeguarmi alla politica di prezzi bassi dei miei concorrenti”. Un mantra ripetuto sistematicamente dai piccoli imprenditori, come se ci si volesse convincere (e contemporaneamente persuadere gli altri) di essere di fronte all’unica strada percorribile: un suicidio assistito dalla inconsapevolezza delle dinamiche di mercato. Perché è più facile combattere un nemico conosciuto che uno sconosciuto. Con il clima di concorrenza spietata che imperversa in ogni settore, le piccole aziende devono investire parecchio tempo, denaro e persone per combattere i propri avversari. Trovano difficile e impegnativo eppure stranamente rassicurante affrontare un nemico conosciuto le cui ambizioni, strategie, debolezze e persino punti di forza assomigliano ai loro.

Tuttavia, questa ossessione per i (tanti) tradizionali rivali compagni di viaggio di questo suicidio collettivo le ha rese cieche rispetto alla minaccia di quei pochi pericolosi concorrenti che adottano una strategia redditizia basata sui bassi costi. Queste aziende offrono prodotti e servizi a prezzi spaventosamente bassi rispetto a quelli delle imprese tradizionali, spesso sfruttando al massimo la deregolamentazione, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica.

Questi competitor a basso costo hanno cambiato il quadro della concorrenza così come gli imprenditori l’hanno conosciuta nel XX secolo e, malgrado i fiumi di inchiostro versati dagli accademici sull’argomento, la maggior parte delle piccole aziende si comporta trattando i concorrenti a basso costo in due modi: o ignorando i rivali che praticano prezzi stracciati, come se a loro non importasse – un grave errore perché obbliga le imprese a evacuare interi segmenti del mercato – oppure, per le aziende che se rendono conto, come rivali tradizionali.

Nel primo caso sfatiamo un mito: la maggior parte di questi piccoli imprenditori pensa che le aziende low-cost non siano una minaccia permanente e duratura; sono convinti che un’azienda che vende a prezzi tanto più bassi dei loro sia destinata alla bancarotta. Non accettano il fatto che i “guerrieri” dei prezzi popolari, quelli efficienti, tengano testa ai rivali più importanti concentrandosi solo su uno o pochi segmenti di consumatori; non si rendono che questi ultimi offrono un prodotto basico migliore o più vantaggioso rispetto a quello dei concorrenti e riescono a contenere quotidianamente i prezzi attraverso operazioni altamente efficienti che permettono di mantenere bassi i costi.

Nel secondo caso, invece, laddove si decida di considerare quei competitor ci sono di solito due modi di affrontare il mercato, considerato un mostro anonimo senza identità: alcune aziende diventano più difensive e provano a differenziare la loro offerta, altre intraprendono l’offensiva, un vero e proprio harakiri, adeguando i propri prezzi a quelli low cost. La strategia della differenziazione tuttavia è alquanto complessa perché deve riguardare, soprattutto nella fase di analisi, tutte le variabili del marketing-mix, dal prodotto, di solito l’unico preso in considerazione, all’immagine, alle modalità di distribuzione e di vendita e alle politiche di prezzo.

Ad esempio, le imprese tradizionali possono conseguire rilevanti vantaggi iniziando a vendere soluzioni, cioè pacchetti integrati di prodotti e servizi, oppure concentrandosi solo su un segmento seppur piccolo, ma redditizio. Questa strategia può consentire di neutralizzare la minaccia degli operatori low-cost i quali, proprio per l’essenzialità della propria offerta, non sono in grado di offrire le soluzioni apprezzate da una parte della domanda.

Reagire alla minaccia dei concorrenti low-cost attraverso lo sviluppo della differenziazione può quindi essere efficace, ma solo nel caso in cui questa sia allineata alle aspettative e ai comportamenti dei consumatori. Abito in pieno centro storico di Napoli, dove fino a qualche anno fa ero accerchiato da edicole, miei luoghi di culto insieme alle librerie, che vendevano tutti i giornali e le riviste. Tutti si lamentavano dei bassi margini, tra l’altro su prezzi imposti, tutti hanno chiuso tranne un’edicola-cartoleria. Osservando l’offerta a scaffali di questa ultima ho notato che praticamente il gestore, oltre a sfruttare la sinergia della cartoleria, aveva deciso, ascoltando le esigenze dei clienti-lettori completamente cambiate rispetto a dieci anni fa per effetto del nuovo modo di consumare la lettura dei giornali, di vendere solo le riviste patinate e glamour, le uniche che il lettore feticista apprezza ancora in formato cartaceo e che, tra l’altro, riconoscono un margine di guadagno mediamente maggiore sul prezzo di vendita. Nessun altro giornale o rivista. Solo quelle.

Ecco il punto: anche senza utilizzare tecniche di customer experience sofisticate aveva saputo ascoltare il mercato e fare una scelta coraggiosa. La guerra di prezzo in genere si rivela più un danno per chi la pratica che per le imprese sfidanti. Comportamenti di questo tipo evidenziano una limitata capacità di comprendere i cambiamenti in atto nel mercato e, soprattutto, l’evoluzione del comportamento dei consumatori. Questi sono sempre più interessati ad acquisire i prodotti di cui ritengono di aver bisogno alle condizioni migliori possibili. E se, grazie al diffondersi delle offerte low-cost basate sul contenimento dei prezzi, realizzato con l’eliminazione di tutti gli elementi accessori (no frills), i comportamenti dei consumatori cambiano e occorre prenderne atto e cercare di cambiare strada – ovvero strategia – finché si è in tempo.

Le imprese di ogni settore e dimensione che si trovano a dover affrontare la minaccia proveniente dai concorrenti low-cost devono evitare di cadere nella trappola della “guerra dei prezzi” e quindi di tentare di contenere la riduzione delle proprie vendite abbassando i propri prezzi o ricarichi. Questo non significa che non debbano ricercare tutte le strade disponibili per poter conseguire migliori livelli di costo. Tuttavia, il loro sforzo fondamentale deve essere rivolto allo sviluppo del valore offerto al mercato, nella consapevolezza del fatto che “ci saranno sempre due tipi di consumatori: quelli che comprano in base al prezzo e quelli che non rinunciano al valore”.

Dunque low cost e high value, ma occorre valutare la dimensione della nicchia di mercato in cui vogliono operare. Se le imprese tradizionali non affrontano diversamente ed efficacemente i rivali a basso costo, non potranno incolpare che se stesse per il proprio fallimento.

Articolo Successivo

L’emendamento del governo al decreto trasparenza sui benzinai fa infuriare sia i distributori che i consumatori

next