“Per sapere chi fosse Antonio D’Alì non c’era bisogno di una sentenza. Una sentenza può dire se ci sono elementi per i quali una persona è da condannare o da assolvere, ma i rapporti familiari decennali di D’Alì con la famiglia di Messina Denaro erano noti a tutti sul territorio. Il punto politico è un altro: noi scrivevamo queste cose sui giornali prima delle sentenze e nonostante le scrivessimo e le ripetessimo, Silvio Berlusconi ha candidato quest’uomo, quando bastava andare sul territorio per sapere di chi si trattava. Non si può demandare alla magistratura il compito di selezionare le classi dirigenti. È la politica che deve farlo. E nel momento in cui accetti quel tipo di candidatura, dai un segnale preciso a Cosa Nostra “. Sono le parole pronunciate a Non è l’Arena (La7) da Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it e di Fq Millennium, nel corso di un dibattito incentrato sull’ex senatore del Pdl Antonio D’Alì, condannato in via definitiva a 6 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. In studio sono presenti anche la vedova e il figlio di Fulvio Sodano, il prefetto di Trapani che nel luglio 2003 fu trasferito ad Agrigento su pressioni dell’allora sottosegretario all’Interno D’Alì.

Gomez spiega: “Nella sentenza di condanna di D’Alì si legge che addirittura fu approvata l’interposizione di D’Alì per garantire l’acquisizione di un bene per Totò Riina con l’intercessione del padre di Matteo Messina Denaro, don Ciccio. Nella sentenza si legge anche che alcuni mafiosi dal carcere, quando lui era in Parlamento, gli mandavano dei telegrammi, il cui senso era: ‘Tu sei fuori, noi siamo dentro a farci la galera’. Nel processo poi succede una cosa paradossale: la signora Sodano testimonia come suo marito avesse chiesto a Totò Cuffaro il modo con cui erano andate le cose. E Cuffarò spiegò al prefetto Sodano che era stato D’Alì a mandarlo via“.
La vedova del prefetto Sodano, in studio, conferma le parole del direttore del Fatto online.

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