Il maxi piano statunitense di finanziamenti pubblici per favorire la transizione energetica (Inflation reduction act) fa paura all’Europa. Che però non sa bene come reagire, rispondere pan per focaccia, avvicinandosi così ad una pericolosa guerra commerciale o abbozzare e limitare il danno. Il punto più critico del piano Usa sono gli incentivi previsti per aziende che producono tecnologie verdi entro i confini del paese. Vincolo che rischia di spingere aziende europee a “delocalizzare” la loro produzione in territorio statunitense. Sulla questione sono intervenuti oggi con uno scritto a sei mai sul Financial Times i tre vicepresidenti della Commissione Ue Valdis Dombrovksis, Frans Timmermans e Margrethe Vestager che sembrano porgere un ramoscello d’ulivo a Wahsington.

“Una reazione occhio per occhio rischia di essere molto autolesionista dal punto di vista economico”, si legge nell’articolo che prosegue “Serve un’azione comune attraverso un piano industriale dell’Ue per il green deal” ma, spiegano i tre vicepresidenti, Europa e Stati Uniti non devono andare ad un scontro ma continuare a collaborare nel comune interesse di salvaguardare il pianeta. Ue e e Usa dovrebbero costruire un “mercato transatlantico aperto e fiorente per i nostri innovatori e investitori”, esortano. L’ultimo appello è a “mantenere il nostro approccio aperto al commercio globale. L’Europa dipende da un ordine economico globale ben funzionante più di altre grandi potenze perché siamo una potenza esportatrice”.

Ieri Vestager aveva usato toni un poco meno concilianti affermando che il piano statunitense “contiene una serie di disposizioni discutibili e rischia di diluire il nostro comune senso di responsabilità nell’affrontare la crisi climatica. La risposta dell’Ue sarà ferma, ma proporzionata“. Le misure statunitensi sono incluse nell’Inflation Reaction Act approvato a fine 2022 e contiene interventi di varia natura inclusi limiti ai prezzi di alcuni farmaci. Il pezzo forte sono però 369 miliardi di dollari di incentivi per progetti e produzione di prodotti che favoriscano un rimodellamento dell’economia in chiave di maggiore sostenibilità ambientale. Il primo a lanciare l’allarme è stato il il presidente francese Emmanuel Macron che già lo scorso dicembre aveva parlato dei rischi per l’occupazione europea che derivano dalla strategia Usa e avvisato di come questo possa incrinare la coesione tra i paesi Ue, già a dura prova a causa della guerra in Ucraina.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per ora ha promesso un piano “paragonabile a quello statunitense” per sostenere l’industria green del Vecchio Continente ma piuttosto vago nei suoi aspetti finanziare. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo 27 stati che vanno messi d’accordo. Alcune capitali storcono il naso all’idea di versare altri soldi in progetti comuni, i paesi più piccoli, poveri di imprese specializzate in tecnologie verdi, temono che a loro venga ben poco. Il piano von der Leyen però, almeno sulla carta, prende forma. Dovrebbe essere impostato su 4 pilastri: snellimento della burocrazia per i progetti verdi, nuovi sussidi a disposizione dei singoli stati per sostenere le industrie del settore delle energie rinnovabili senza sforare i vincoli di bilancio, progetti di formazione professionale per i lavoratori e misure più incisive per contrastare pratiche commerciali cinesi ritenute scorrette.

La scorsa settimana da Davos il primo ministro olandese Mark Rutte ha ad esempio sbarrato la strada a un nuovo piano europeo. “Ora alcuni dicono, servono più finanziamenti europei, beh, ce ne sono già così tanti”, ha affermato Rutte . “Non sono a favore, ci sono così tanti soldi messi in comune, il recovery fund, i progetti europei, i soldi per gli obiettivi 2030 per la transizione energetica”, ha aggiunto.

Ieri a chiedere interventi incisivi (leggi più soldi) è stato il ministro italiano Adolfo Urso che ha incontrato il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni ea Margrethe Vestager. Alla prova con i sussidi dell’Inflation reduction act degli Stati Uniti e le politiche commerciali cinesi non basterà, avverte Urso, che l’Unione si limiti a una revisione delle regole sugli aiuti di Stato: “Sarebbe una risposta di retroguardia”, ha affermato il ministro secondo cui serve invece una “risposta assertiva, attiva, significativa sul piano finanziario e che sia una risposta dell’Unione Europea”, evitando quindi una spaccatura in Europa “tra chi può e chi non può”.

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