Alla fine la Regione Veneto ha calato le braghe. Per mesi i vertici sanitari erano stati inseguiti dalle Mamme No Pfas che chiedevano anche per i cittadini che vivono nella Zona Arancione interessata dal micidiale inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche la possibilità di effettuare le analisi del sangue. Un diritto finora negato a tutti, eccetto agli abitanti dei 30 Comuni più contaminati, inseriti in Zona Rossa. Gli incontri chiesti con la Direzione di prevenzione erano sempre stati rinviati, l’assessore non dava risposte, le promesse non erano state mantenute. Così una decina di movimenti che si battono per la salute in Veneto, in particolare nelle tre province di Vicenza, Verona e Padova dove le falde e gli acquedotti sono avvelenati, hanno diffuso il 10 gennaio un durissimo comunicato. “Una Regione in fuga” era il titolo, denuncia delle mancate risposte ai cittadini. Non è passato nemmeno un giorno dal comunicato (e da un articolo pubblicato da ilfattoquotidiano.it) che la Regione si è risvegliata. Ha annunciato che gli esami si potranno fare anche per i cittadini dei dodici Comuni in Zona Arancione dove l’avvelenamento della falda non ha interessato gli acquedotti pubblici, ma solo i pozzi privati.

Una vittoria per le Mamme No Pfas, Greenpeace e gli altri gruppi che si stanno battendo da anni su questo tema. A smuovere le acque era stata anche un’intervista rilasciata da Elisabetta Donadello, 48 anni, che vive alla periferia di Vicenza e ha dovuto andare in Germania per effettuare l’analisi del sangue dei figli (con valori di Pfas fuori norma), visto che la Regione Veneto non lo consentiva. Quanti altri cittadini dei comuni limitrofi alla zona più inquinata si trovano nelle stesse condizioni? Adesso, forse, si potrà cominciare a scoprirlo.

Il Comunicato della Regione non cita le proteste popolari, ma il collegamento è implicito, anche se la delibera di giunta sarebbe stata adottata il 30 dicembre scorso, ma non ne era stata data comunicazione a nessuno, tantomeno alle Mamme No Pfas. La Regione annuncia la possibilità di “effettuare il dosaggio dei Pfas nel sangue” anche per chi vive in Zona Arancione, “rispondendo alle esigenze che parte della popolazione residente in questi comuni ha più volte espresso, ma anche ad una rivalutazione del rischio correlata all’uso dell’acqua da pozzo”. In realtà dei pozzi come veicolo di avvelenamento attraverso l’attività agro-zootecniche e l’ingresso dei Pfas nella filiera alimentare, la Regione è a conoscenza dal 2019, quando fu informata dall’Istituto Superiore di Sanità.

Undici Comuni interessati si trovano in provincia di Vicenza, un dodicesimo nel Veronese. È vero che solo una parte di quei territori è interessata all’inquinamento, eppure la popolazione totale coinvolta arriva a 250mila persone, che si aggiungono a quelle della Zona Rossa. Ecco l’elenco: Altavilla Vicentina (11.810 abitanti), Arcugnano (7.722), Arzignano (25.173), Creazzo (11.259), Gambellara (3.404), Montebello Vicentino (6.551), Montecchio Maggiore (32.181), Monteviale (2.885), San Bonifacio (Verona, 21.490 abitanti), Sovizzo (7.582), Trissino (8.641) e Vicenza (112.198 abitanti).

I cittadini potranno rivolgersi a un laboratorio dell’Arpav (non ancora indicato) per prelievi volontari “in regime di compartecipazione della spesa, entro 90 giorni dall’adozione della deliberazione, tempo necessario all’adeguamento dei flussi informativi e alla definizione delle misure organizzative”. La tariffa sarebbe di 130 euro, ma il prezzo viene ridotto a 90 euro. La comunicazione fa riferimento alla deliberazione 1752 approvata in giunta il 30 dicembre che sarà pubblicata sul Bollettino della Regione Veneto il 13 gennaio. Se un cittadino troverà valori in eccesso entrerà gratuitamente nel programma di medicina generale di presa in carico sanitaria. La Regione spiega di non aver finora “ritenuto di poter ampliare il Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta a Pfas anche all’Area Arancione, proprio per la mancanza nell’Area Arancione dei requisiti che identificano l’Area Rossa, che è quella di massima esposizione sanitaria e quindi di applicazione del Piano di sorveglianza”. Espressione tautologica che non spiega in base a quali nuove evenienze, oltre alle richieste dei cittadini, si sia deciso di allargare i controlli.

Cristina Guarda, consigliera regionale di Europa Verde, commenta così: “Sono felice che la nostra battaglia sia giunta a qualcosa di concreto, ma nei giorni scorsi l’assessore competente non mi aveva stato riferito di alcuna delibera formalizzata, solo di un blando ‘mandato conferito’. L’assessore ribadiva che i dati in possesso della Giunta non suggerivano la necessità di alcuna rivalutazione del rischio sanitario”. Stupore, poi, perché il consiglio regionale ha discusso di Pfas il 10 gennaio (respingendo una mozione di minoranza) e “nessun membro della giunta ha eccepito l’esistenza del provvedimento di specie, già approvato a fine dicembre 2022”. La consigliera Guarda si chiede perché “un provvedimento di questo tipo e di questa portata non sia stato immediatamente pubblicizzato dall’assessore, tanto più se la motivazione è una rivalutazione del rischio sanitario in relazione alle acque potabili: questo dovrebbe spingere a prevedere la gratuità delle analisi, come avvenuto in area rossa”.

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