Della faccenda delle mazzette a Bruxelles non si parla, salvo che in qualche segreta stanza. Ma ci sono altre cose interessanti da notare. Sono tornato in Marocco dopo dieci anni e l’ho trovato poco o pochissimo cambiato, a parte i grandi lavori che sono in corso a fianco alla Medina di Fes e soprattutto a Meknes, dove gran parte della città antica è in ristrutturazione. C’ è da precisare che questa volta sono stato a Fes, Rabat e Meknes, le volte precedenti a Marrakech e Agadir, nel centro sud (2012-14), ma non credo sia diverso.

Certo anche quel poco che è cambiato va segnalato. Per gli amanti del “bel mondo antico”, come piò meno tutti siamo, è un po’ inquietante l’avanzare dell’uso delle brutte lampade bianche o bianchissime e i restauri che diventano rifacimenti, anche se precisi, come le tettoie in legno della Medina di Rabat. E’ sicuramente un cambiamento forte il “suppostone”, l’altissimo grattacielo di Rabat che non piace alla guida turistica della Chellah (una Kasbah di cicogne e antichità in ristrutturazione). Ma in fondo, con quella silhouette da minareto ironico, non dispiace neanche troppo.

Le costruzioni nuove, i quartieri nuovi, prevalentemente di quattro piani, non mancano ma non hanno svuotato i centri storici. Anzi, forse è in atto un cambiamento positivo importante e raro nel mondo: abitazioni nella Medina che vengono restaurate ma senza “gentrificare”, restituite agli abitanti. Questo l’ho visto in particolare a Meknes. Ma in generale sembra proprio che le Medine resistano alla gentrificazione: questa è una buona notizia. E non è l’unica. A Rabat sono stati allestiti nuovi giardini che vengono irrigati anche d’estate grazie al riciclo dell’acqua delle fogne.

Ho ritrovato in Marocco quello che mi aspettavo e volevo trovare. Le architetture arabe, i colori dal giallo all’ocra al granata, i paesaggi, la luce (quella naturale intendo), i profumi di cibo, di spezie, di cuoio. Le cicogne, che a Meknes sono addirittura tante. I paesaggi: in questo caso quelli della campagna, per lo più verde con il primo sbucare dei cereali, e quelli dell’oceano con l’alternarsi di spiagge e scogliere, “dentro” le città della costa. E soprattutto i vicoli delle Medine ancora quasi completamente pedonalizzati (pochi i motorini, che invece tanto infastidivano a Marrakech), la vita di strada, cioè la vita che si svolge per strada molto più che da noi. E mangiare? Si mangia marocchino, assolutamente, quasi esclusivamente. Rare le apparizioni di pizzeria o cinese. Tajine e couscous la fanno da padroni. I polli, poveretti, vengono ammazzati direttamente al negozio o in bancarella. Ma le verdure vanno alla grande.

Tornando alle Medine. Ho riletto le descrizioni e le osservazioni scritte nel 1954 da Elias Canetti sui suk di Marrakech. Dopo 70 anni ci si può ancora ritrovare. Sarebbe interessante disporre di una analisi dettagliata di cosa si vende nelle botteghe delle Medine: oggettini apparentemente marocchini ma in realtà cinesi? Oggetti apparentemente artigianali ma in realtà prodotti industrialmente? Però una cosa è sicura, rassicurante e per il momento sembra tenere come un’àncora (ancòra come un’àncora): l’artigianato c’è , ci sono i conciatori, i martellatori del rame, ci sono i telai, ci sono i sarti, e non solo nei negozi di tappeti per turisti, dove potresti anche sospettare che il telaio faccia parte della scena.

Quanto lavoro danno questi cicli così belli da vedere? Parecchio ma non abbastanza. Come non dà abbastanza lavoro l’agricoltura, anch’essa uno spettacolo poetico da vedere per il turista, con le greggi di pecore, i pastori, gli asinelli, la vendita di prodotti lungo le strade. A Salè un gruppo di giovani che non stavano facendo nulla sulla falaise ci ha chiesto una mancia solo perchè “sapete, siamo disoccupati”. La questione non è trascurata. Si vede a occhio che si punta a far lavorare più gente possibile, nei lavori pubblici o semipubblici. Nell’aeroporto di Fes (bellissimo) ci sono addetti che si dedicano solo alle piante interne all’aeroporto. A Rabat ci sono 500 dipendenti per la cura e la pulizia dei giardini. Tutte le squadre di edìli sono sovrabbondanti.

Poi c’è l’informalità pubblica, i parcheggiatori con pettorina gialla, ovunque, che chiedono una mancia (chi smista le pettorine gialle?). E poi naturalmente ci soni i mendicanti. Ma tranquilli: in generale la pressione sul turista, o la propensione a dargli qualche fregatura, sembra attenuata rispetto agli ultimi decenni del secolo scorso. La vita sembra serena. O meglio: inquieta ma agile, e molto sociale.

Adesso che sono finite le vacanze di Capodanno (a proposito: non esistono i botti di Capodanno) gli alberghi si svuotano. In attesa di che? Speriamo nel capodanno cinese, ci dice l’albergatore di Meknes. Una cosa che sembra mancare nell’offerta turistica: un agriturismo. Forse avrebbero potuto prendere spunto dalle “gite à la ferme” francesi. Ma il francese non lo si parla quasi più. Questo è un cambiamento forse non progressivo: il francese lo parlano solo le persone di una certa età e non è stato abbastanza sostituito dall’inglese. Suppongo si possa supplire con Google Translator.

Il paese nel frattempo si sta laicizzando? Difficile a dirsi. Le moschee non sono piene. Molte donne non sono velate. Ma nei caffè la loro presenza resta molto rara. La politica? Non si percepisce, viaggiando così. Sarà anche una monarchia costituzionale ma il re quello sì che si percepisce, soprattutto in queste città imperiali dove la gente comune ti dice che ogni restauro, ogni abbellimento, è grazie al re. “Sa majestè”. D’altra parte, come dicevo, si va in Marocco per trovare un mondo antico…

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