Una commissione d’inchiesta per indagare sulla stagione del terrorismo mafioso: una catena di omicidi rimasti spesso irrisolti, a cominciare da quello di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia e fratello dell’attuale capo dello Stato. “Si tratta di una fase storica che inizia negli anni ’70 e si protrae fino al 1993, un periodo in cui Palermo è stata l’unica città del mondo occidentale nella quale, nel breve volgere di pochi anni, sono stati assassinati i vertici più rappresentativi del potere statale e del sistema politico”, dice Antonio Balsamo, presidente del tribunale di Palermo, intervistato dall’agenzia Adnkronos. Alla vigilia del 43esimo anniversario dell’omicidio Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980 sotto la sua abitazione, Balsamo chiede la creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta che faccia luce su “molti punti ancora da comprendere e da esplorare, che non possono essere ricostruiti soltanto con l’attività giudiziaria. Il fatto di puntare anche sull’impegno di altre istituzioni, oltre a quelle giudiziarie, è anche una forma di rispetto e di impegno comune per questa esigenza di verità, che esprimono con grande coraggio i familiari delle vittime – dice Balsamo in una intervista all’Adnkronos – Per loro, credo che sia altrettanto importante quanto la celebrazione dei processi. Perché ci sono una serie di limiti nel processo penale, che invece non impediscono l’accertamento di una verità storica condivisa”.

La vicenda giudiziaria sull’omicidio Mattarella è stata lunga e complessa. E non definitiva. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra, da Totò Riina a Michele Greco, con gli altri esponenti della cupola, da Bernardo Provenzano a Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. L’inchiesta, però, non è riuscita a identificare né i sicari né i presunti mandanti esterni. I presunti killer, cioè i terroristi neri Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, esponenti dei Nuclei armati rivoluzionari, sono stati assolti in via definitiva. Nel 2018 la procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio, effettuando nuovi accertamenti attraverso complesse comparazioni fra reperti balistici. Uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa dell’auto usata per l’agguato, era la somma di due pezzi di targa diversi. Una parte fu poi ritrovata in un covo dell’organizzazione terroristica neofascista dei Nar. Oggi l’inchiesta, ancora a un punto fermo, è coordinata dal neo Procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunta Marzia Sabella.

Secondo Balsamo il delitto del 6 gennaio 1980 può essere ricondotto a una pluralità di letture. “Quando, ad esempio, durante l’omelia, il vescovo Pappalardo parla dell’omicidio di Piersanti Mattarella spiega subito una cosa: ed è l’impossibilità che il delitto venga ascritto solo alla matrice mafiosa, perché ‘ci devono essere altre forze occulte‘. Due giorni dopo il delitto, l’8 gennaio 1980, l’allora Ministro dell’interno, Virginio Rognoni, parla di una ‘complicità operativa tra criminalità organizzata e terrorismo’. La stessa visione viene espressa nel dibattito successivo da Pio La Torre. In effetti questa impostazione è quella seguita da Giovanni Falcone, che conduce la sua ultima indagine importante proprio sull’omicidio Mattarella e sugli altri delitti politici. Dice che si tratta di delitti di matrice mafiosa ma il movente non è sicuramente o esclusivamente mafioso. Quindi, parla di saldature che implicano la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro paese. Questa visione storica profonda è la stessa che viene espressa nella sentenza del Maxiprocesso, in cui si parla di un disegno terroristico eversivo in cui si collocano anche l’omicidio del Procuratore Pietro Scaglione, le bombe collocate dal boss Francesco Madonia in vari uffici pubblici nella notte del 31 dicembre 1970, l’attentato contro l’onorevole Angelo Nicosia e la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro. Tutti fatti per i quali manca un accertamento processuale che abbia potuto fare piena luce. Per gli omicidi di Scaglione e De Mauro manca tuttora una ricostruzione processuale che abbia portato alla condanna dei responsabili. Si tratta però di fatti che restano di estrema importanza per capire la nostra storia e per costruire il nostro futuro”, è il ragionamento del presidente del tribunale di Palermo.

Che poi lancia il suo appello al Parlamento: “Io spero che ci possa essere, in questa legislatura, l’istituzione di una Commissione di inchiesta perché questo metodo può essere importante per far luce su tutti quegli aspetti ancora oscuri sulla nostra storia recente. E’ un esempio di grande significato che il nostro paese potrebbe dare: l’Italia potrebbe diventare il luogo simbolo della capacità di affermare il diritto alla verità che spetta non solo ai familiari delle vittime ma a tutta la collettività”, spiega Balsamo, che è stato il giudice estensore della sentenza del processo sulla strage di via D’Amelio. Il giudice ricorda che “su fatti come le stragi Falcone e Borsellino negli ultimi anni sono venute alla luce prove importantissime che consentono di capire il contesto in cui si sono collocati questi eventi drammatici”. Il magistrato cita, quindi, della “sentenza della Corte d’Assise di Bologna”, in cui i giudici, motivando la condanna all’ergastolo dell’ex componente dei Nar Gilberto Cavallini per la bomba alla stazione del 2 agosto 1980, condividono le iniziali intuizioni di Falcone, poi abbandonate durante i giudizi di primo e secondo grado che affermarono la responsabilità esclusiva di Cosa nostra nel delitto Mattarella e condannarono un pezzo della Cupola senza mai individuare i killer del presidente della Regione siciliana, assassinato a Palermo il 6 gennaio 1980. “Un lavoro di grandissimo rilievo di raccolta di nuove prove e rilettura di un insieme di fatti con un’autentica coscienza storica. Insomma, potrebbe essere un impegno comune di tutte le istituzioni”, conclude Balsamo.

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