Di fronte alla protesta congiunta delle Ong per l’introduzione del nuovo codice di condotta, la Commissione Ue ricorda che tutti i Paesi membri “devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare”. Sottolineando che con spetta all’Unione Europea “guardare nello specifico il contenuto di questo decreto”, la portavoce della Commissione Ue, Anitta Hipper, ha sottolineato che “salvare vite in mare è un obbligo morale e legale”.

Sulla possibilità, prevista dal decreto, che un primo screening dei richiedenti asilo vada a fatto a bordo delle navi impegnate nel salvataggio in mare la portavoce della Commissione ha spiegato che “i cittadini di Paesi terzi presenti nel territorio degli Stati membri, compreso il territorio marino, possono richiedere asilo. Detto questo, non sta a noi guardare questo decreto o no, noi siamo sempre in contatto con le autorità italiane”. Nel mese di gennaio, ha aggiunto Hipper, è prevista una riunione del gruppo di contatto Sar sulle attività di Search&Rescue nel Mediterraneo.

Le Ong nelle scorse ore sono tornate a criticare il decreto in una nota congiunta sostenendo che “contraddice i diritti internazionali del mare, umani ed europei, e dovrebbe quindi innescare una forte reazione”. Gli Stati membri dell’Europa, in particolare l’Italia, “hanno tentato per anni di ostacolare attività civili di Sar attraverso la diffamazione, le vessazioni amministrative e la criminalizzazione delle ong e attivisti”, hanno scritto le organizzazioni non governative. “Dal 2014, le navi di soccorso civile stanno colmando il vuoto che gli Stati europei hanno deliberatamente lasciato dopo aver interrotto le loro operazioni Sar guidate dallo Stato”.

Adesso, rimarcano, il governo italiano ha “introdotto un insieme di regole per navi civili Sar, che ostacolano le operazioni di soccorso e mettono in mare le persone in difficoltà ulteriormente a rischio”, si legge nel testo. Tra le altre regole, il governo Meloni “richiede che le navi di soccorso civile si dirigano immediatamente verso Italia dopo ogni salvataggio”. Una norme che “ritarda ulteriori operazioni di salvataggio, come di solito fanno le navi più salvataggi nel corso di diversi giorni”. E incaricare le Ong Sar di procedere immediatamente in porto, mentre altre persone sono in pericolo in mare, “contraddice l’obbligo di resa del capitano assistenza immediata alle persone in difficoltà, come sancito dall’Unclos”.

Un elemento che – evidenziano le Ong – viene “aggravato dalla recente politica di assegnazione del governo italiano ‘porti lontani’ più frequentemente, che possono essere fino a quattro giorni di navigazione dalla corrente di una nave”. I due fattori “sono progettati – accusano le organizzazioni non governative – per tenere le navi Sar fuori dall’area di soccorso per periodi prolungati e ridurre la loro capacità di assistere le persone in difficoltà”.

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