Il “Palazzo” è circondato, fuori c’è un esercito. Ma di lobbisti. L’Europa prova il colpo di reni, ma i “portatori d’interessi” si sono insinuati ovunque e presi tutto, specie attorno al palazzo che conta. Dal Parlamento Europeo “sotto attacco”, arriva oggi una proposta di risoluzione congiunta che chiede una “commissione d’inchiesta” sui sospetti di corruzione del Qatar e di rafforzare con urgenza gli strumenti di controllo e trasparenza, a partire dal “registro dei lobbisti” da potenziare in termini di risorse e personale. Come ha rivelato il Fatto.it, a fronte di 12.445 organizzazioni registrate, l’ufficio deputato alle verifiche conta su 9 dipendenti soltanto, ciascuno dei quali dovrebbe vigilare su circa 1800 soggetti. Ragion per cui il controllo è solo formarle sui requisiti di accreditamento e l’aggiornamento dei dati. Difficile individuare anomalie, come il fatto che la ong fondata da Emma Bonino finita sotto inchiesta avesse accreditato a operare al Parlamento Europeo 11 persone, vale a dire più di Google e Microsoft messi insieme. Lavorando sugli open data del registro virtuale, si possono ottenere aggregati significativi per capire rischi e meccanismo di “infiltrazione”.

Ribaltandolo i dati per paesi di provenienza si scopre, ad esempio, che i due sotto accusa, vale a dire Qatar e Marocco, sono come fantasmi perché ufficialmente non ci sono. A parte un rappresentante di Qater Airways, la compagnia dell’emiro, non sono accreditate altre organizzazioni qatarine. Per il Marocco sono quattro, tutte riferibili alle camere di commercio di settori primari delle esportazioni, dal tessile all’alimentare. Un dato che rende plausibile che attività lobbistiche venissero portate avanti da soggetti mai palesati ufficialmente, che agiscono nell’ombra, tramite relazioni e canali personali, come pare sia avvenuto nel caso di Pier Antonio Panzeri, la cui ong non era accreditata, ma nelle cui abitazioni gli inquirenti hanno trovato soldi che riconducono alla corruzione. E uno dei problemi della storia è proprio questo: senza soffiate dei servizi e senza le indagini dei magistrati belgi nessuno, probabilmente, avrebbe scoperchiato il “sistema” che aveva sostituito insospettabili ong ai lobbisti tradizionali. Di organizzazioni non governative affacciate a Bruxelles, del resto, che ne sono ben 667, mentre i professionisti dichiarati del lobbismo sono circa 5mila, con 3.634 “In-house lobbyists and trade/business/professional associations”, 334 società specializzate e 557 “consulenti” d’affari e diritti. Chi sono, da dove arrivano?

Riorganizzati per Paese, i dati confermano il peso economico dei singoli Stati membri: l’Italia, per dire, conta 803 operatori contro i 1.247 della Francia e 1.193 della Germania. Riordinando i dati del registro per numeri di telefono e indirizzi delle sedi aperte “in loco”. allora si apre un altro mondo, non più virtuale ma reale perché fatto di uffici, personale e immobili. Si è tanto parlato della coincidenza per cui la ong della Bonino NPWJ accreditata dal 2012 abbia la stessa sede dell’altra ong nel mirino degli inquirenti belgi, la Lotta all’impunità di Panzeri che dai provvedimenti emessi sembra più un manifesto dell’impunità: Rue Ducale 41, a due passi dal Parlamento Europeo. Ma quanti lobbisti sono a “due passi”? Quelli accreditati erano 4mila nel 2011, oggi sono ottomila di più. E dove stanno quelli che effettivamente svolgono attività a Bruxelles? Il censimento per sedi rivela che almeno 1.483 tra società, sindacati, imprese e ong hanno aperto una sede in un fazzoletto di pochi chilometri compreso tra la Rue Wiertz 60, sede del Parlamento Europeo, e Rue de la Loi 200, sede della Commissione. Va ribadito che parliamo della fascia emersa delle professioni del lobbismo, quella che per legittimi interessi ha deciso di stabilire una rappresentanza permanente a Bruxelles che essendo la porta d’ingresso per operare e vigilare su un mercato potenziale di 500 milioni di consumatori ha visto crescere il numero dei lobbisti dell’8% negli ultimi cinque anni, diventando così la seconda roccaforte dopo Washington per numero di lobbisti.

Le mappe elaborate usando indirizzi e numeri civici permettono di stabilire dove si concentra di più la loro “presa” su Bruxelles, inteso non tanto o solo come “piazza” utile agli affari ma come il “palazzo” che legifera. Seguendoli, confermano che il sancta santorum dei lobbisti è concentrato tra la rotonda Schuman e la “Rue de la Loi“, che separa gli edifici della Commissione (i legislatori) dal Consiglio europeo. Il quadrante attorno a palazzo Berlaymont, che ospita i commissari , conta ben 47 società registrate nel “libro mastro delle lobby”: ci sono Deloitte al 12, la tedesca BMW al 5, poi alla GrtGaz che gestisce 3mila chilometri di rete in Francia. Anche due regioni italiane, Toscana e Sardegna stanno lì, chissà perché. Verso la Square de Meuse, a due passi dal Parlamento c’è la chimica tedesca BASF e il suo vicino è Fleishman-Hillard, un’agenzia di pr americana che può spendere più di sei milioni di euro in attività di lobbying e impiega un’armata di 500 consulenti per influenzare gli accordi di libero scambio.

Al 51 di rue Montoyer c’è l’americana Hill&Knowlton, società di consulenza per le pubbliche relazioni globali, con sede a New York e oltre 80 uffici in più di 40 paesi. E qui non poteva mancare. Negli anni ’30, ebbe l’idea di finanziare i primi contro-studi scientifici per legittimare il tabacco e Philipp Morris che quest’anno ha finanziato la ong della Bonino NPWJ, quella ora sotto inchiesta per il Qatar-Gate, con 47mila euro. A due passi c’è Microsoft, che ha speso milioni per annacquare la legge sulla proprietà intellettuale, ma ha meno lobbisti accreditati al Parlamento della Bonino, che ha nel registro ne ha indicati 11.

Al 99 di Roue Beillard c’è la sede del Comitato Economico Europeo: lungo la strada sono disseminati altri 13 uffici indicati come sede di società che si sono palesate per fare lobbying: quelli Novartis, della Bayer, della multinazionale americana Biogen e così via. La “via degli artisti” sta a mille metri dal “palazzo”, ma dovrebbe essere titolata “via dei lobbisti”: in quel breve tratto di strada si contano 65 sedi belghe di altrettanti “portatori di interessi”. Dal sindacato europeo delle imprese del trasporto fluviale all’Associazione tedesca dell’industria e del commercio (DIHK). La tana rivestita di pannelli della Presidenza della Commissione Ue riflette le insegne del quartier generale della Volkswagen, da un lato, e dalla Federazione dell’industria tedesca (BDI), dall’altro. Di fronte, c’è la lobby del tabacco, Pernod-Ricard coi sui 300 marchi (dallo champagne Mumm al Chivas Regal all’Amaro Ramazzotti), London finance (City UK) e la Camera di Commercio degli Stati Uniti. La mappa virtuale potrebbe continuare ma riflette già la condizione reale: il “Palazzo” è circondato, fuori c’è un esercito. Ma di lobbisti.

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