Niente riesce a esprimere più emozioni del ballo. Si danza per amore, per una gioia incontenibile, perché mossi dalla passione. Per alcuni è come scrivere una poesia con i piedi, per altri è “l’espressione verticale di un desiderio orizzontale”. Eppure ai Mondiali i balletti restano un tabù. Perché il confine fra espressione di felicità e presa in giro, fra esultanza iconica e carnevalata è piuttosto labile. Un tema che è tornato di stretta attualità per merito (o per colpa) della Danza del Piccione del Brasile contro la Corea. Un’esibizione non esattamente perfetta che ha fatto tornare alla mente alcuni balletti diventati più famosi del gol a cui hanno fatto seguito. Eccone alcuni che, al di là della loro realizzazione, sono entrati nella storia recente per i motivi più disparati.

Italia ’90, 14 giugno, Camerun – Romania 2-1. La Makossa di Roger Milla
Stile: 5/5
Originalità: 5/5
Iconicità: 5/5
Esecuzione: 5/5

La mano sinistra sull’ombelico, quella destra che si alza fino a superare la testa. E poi ecco che il bacino inizia a ondeggiare da sinistra a destra e viceversa. Roger Milla balla davanti alla bandierina del calcio d’angolo del San Nicola di Bari. Il ritmo è quello della Makossa, una danza che in Camerun si è affermata a partire dagli anni Sessanta, ma l’interpretazione è assolutamente particolare. Ed è proprio per questo che diventerà l’icona di tutte le danze al Mondiale. L’attaccante ha appena segnato il gol del vantaggio del Camerun contro la Romania. È una rete che racconta una favola collettiva, ma soprattutto individuale. Perché a 38 anni Milla è finito a giocare nel Saint-Pierroise, squadra dell’isola di Riunione. È un qualcosa di molto vicino all’idea di prepensionamento, tanto che il portiere della squadra, Joseph-Antoine Bell, afferma: “Non sapevamo neppure dove fosse finito Milla e adesso è qui con noi. Questo dimostra che nel Camerun tutto è possibile”. Chi invece si ricorda molto bene dell’attaccante è il presidente della Repubblica Paul Biya, che avrebbe fatto pressioni sul ct Valerij Nepomniachi per portarlo al Mondiale. D’altra parte Milla ha un conto aperto con il suo Paese. Sua mamma era morta qualche anno prima, mentre la punta era impegnata con la Nazionale. Solo che la Federcalcio non aveva mosso un dito. All’improvviso Roger si era trovato da solo, alla ricerca di un modo per mettere insieme le soldi per l’ospedale prima e per il funerale poi. Così aveva detto addio alla Nazionale. Quella danza sul prato verde del San Nicola aveva il sapore genuino e ingenuo della riconciliazione. “Sono di religione protestante – dirà Milla – e credo fermamente che il gol sia una grazia di Dio. Quando entro in campo mi faccio il segno della croce. Poi, dopo aver segnato, improvviso una danza di ringraziamento“.

Qatar 2002, 5 dicembre. Brasile – Corea del Sud 4-1. Il Ballo del Piccione di Tite
Stile: 1/5
Originalità:1/5
Iconicità: 0/5
Esecuzione:1/5

Le mani sui fianchi a mimare uno sbatter d’ali, le gambe legnose che si muovono a scatti, il collo rigido. L’uomo fasciato in un completo blu si dimena circondato da un gruppo di ragazzi in maglia gialla. Ed è proprio questo il problema. Perché a esibirsi nella Danza del Piccione è Tite, il commissario tecnico del Brasile che sta asfaltando la Corea negli ottavi di finale del Mondiale qatariota. Il balletto, che è diventato più famigerato che famoso, ha alzato un polverone di polemiche. Perché è arrivato dopo un tre a zero, segnato in meno di mezz’ora, che già era stato celebrato con una paio di danze in campo. È un’esultanza che travalica la retorica del Joga Bonito, che supera addirittura la straziante narrazione del “Calcio che cherereche”, che era stata propinata nel 2014 a causa dell’amicizia fra Neymar e il cantante Gustavo Lima, colpevole di quel tormentone. Ma la danza sgraziata di Tite è soprattutto l’incarnazione di un paradosso: il Brasile che da almeno tre Mondiali deve vincere per portare a termine una missione popolare si trasforma puntualmente in una squadra elitaria, altezzosa, tracotante. Fino a sfociare nell’hybris, che come tale deve essere punita. “Ho fatto quel balletto per una forma di connessione con le nuove generazioni – ha detto Tite – Ho 61 anni e quasi tutti i giocatori del Brasile potrebbero essere miei nipoti. Se dovrò ballare di nuovo, lo farò”. Così la sconfitta contro la Croazia ha aggiornato il concetto di legge del contrappasso.

Brasile 2014, 19 giugno. Colombia – Costa d’Avorio 2-1. La danza di James Rodriguez
Stile: 2/5
Originalità: 2/5
Iconicità: 1/5
Esecuzione: 5/5

James Rodriguez scaraventa il pallone nella porta della Costa d’Avorio e inizia a correre verso la bandierina del calcio d’angolo. Quando si trova a due passi dai fotografi il colombiano si ferma e accenna un passo di danza, ma viene bloccato immediatamente da Juan Cuadrado. L’esterno indica la panchina con la mano sinistra e schizza via rapidamente. Perché quell’esultanza preparata da giorni ha bisogno di un palcoscenico diverso per rendere al massimo. Il 10 dei Cafeteros lo segue a passo svelto. Poi, quando la squadra è ferma davanti al commissario tecnico José Pekerman, ecco che tutti iniziano a ballare la Ras Tas Tas, la “salsa urbana” di Cali Flow Latino. Mulinano le mani, muovono i piedi, ostentano sorrisi. L’effetto villaggio vacanze è immediato, eppure quell’esultanza diventerà il simbolo di una Colombia scintillate, trascinata da un abbacinante James Rodriguez la cui stella inizierà a spegnersi subito dopo, fra Real Madrid, Bayern Monaco ed Everton.

Giappone e Corea del Sud 2002, 31 maggio. Francia – Senegal 0-1. Il ballo di Bouba Diop intorno alla maglia
Stile: 5/5
Originalità: 5/5
Iconicità: 5/5
Esecuzione: 3/5

Papa Bouba Diop si sfila la maglia bianca con il numero 19 e la stende sul prato verde del Seoul World Cup Stadium. Con lo sguardo cerca i suoi compagni, mostra loro la posizione che devono occupare. Poi quando tutti sono pronti ecco che iniziano a ballare attorno alla divisa del Senegal. Dura giusto qualche secondo. Perché l’attaccante si stacca dal resto della squadra e fa un passo in avanti. E lì inizia una danza tutta nuova. Saltella sul posto, poi balza avanti e indietro. È un’esultanza che passerà alla storia. Per la sua esultanza, ma soprattutto per il significato che si porta dietro. Perché grazie a quel gol il Senegal è riuscito a battere la Francia campione del Mondo in carica nella prima gara del Mondiale nippocoreano. È qualcosa che va oltre l’idea di Davide che abbatte Golia, perché parla di un passato che ha trovato la sua emancipazione, di una colonia che è diventata padrona, almeno per un giorno. La storia dell’uomo che ha annunciato il Senegal al Mondo, però, avrà un epilogo crudele. Papa Bouba Diop si è spento del 2020, a soli 42 anni, per via di una malattia incurabile. Il ricordo della sua prodezza, però, vivrà a lungo.

Sudafrica 2010, 11 giugno. Sudafrica – Messico 1-1. La danza sulla linea laterale di Siphiwe Tshabalala
Stile: 3/5
Originalità: 2/5
Iconicità: 3/5
Esecuzione: 4/5

Quattro giocatori del Sudafrica sono fermi con i tacchetti sulla linea del fallo laterale. Guardano tutti Siphiwe Tshabalala, in attesa del segnale giusto. Poi, quando il centrocampista è pronto, ecco che si esibiscono in un balletto non particolarmente complicato. Mentre fanno ondeggiare i fianchi portano su il braccio destro, poi il sinistro, piegano gli avambracci e si voltano sul posto. Non è un granché, ma è comunque un’esultanza che entra nella storia. Perché viene portata in scena subito dopo che Tshabalala ha realizzato a sorpresa il gol del vantaggio del Sudafrica contro il Messico. È una rete che procura una gioia effimera ma capace comunque di unire un continente. “Dimostra il potere del pensiero positivo – dirà dieci anni dopo Tshabalala – mentre la partita si avvicinava ho pensato che avrei fatto una buona gara e che avrei anche segnato un gol. I festeggiamenti sono andati bene perché erano stati provati in precedenza, eravamo sicuri che avremmo segnato”. Ma dopo essersi ritagliato un posto sotto i riflettori, la carriera di Tshabalala è tornata nell’oblio.

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