La relazione tecnica della legge di Bilancio smentisce la premier Giorgia Meloni. “Non è previsto alcun condono nella nostra tregua fiscale. Ci sono solo operazioni di buon senso e vantaggiose per lo Stato“, ha assicurato la leader di Fratelli d’Italia una settimana fa dopo il cdm che ha approvato la manovra. Il testo, finalmente pronto e atteso ad ore alla Camera, dice il contrario. Le tabelle dei 10 articoli dedicati alle “misure di sostegno in favore del contribuente” smentiscono il governo quantificano le mancate entrate per l’erario di qui al 2032 in ben 3,6 miliardi di cui 1,6 solo nel 2023. Soldi che avrebbero potuto consentire, per esempio, di non ridurre pesantemente l’indicizzazione delle pensioni o potenziare il taglio del cuneo fiscale. I maggiori introiti attesi dal “ravvedimento speciale” e dalla definizione agevolata delle controversie tributarie in ogni grado di giudizio, pari a 1,9 miliardi, compensano solo in piccola parte l’ammanco. E occorre tener presente che il conto finale con buona probabilità sarà assai più alto. Sia perché dalle passate rottamazioni si è ricavato sempre molto meno del previsto, sia perché ogni sanatoria dà un’ulteriore picconata alla futura fedeltà fiscale. L’ultima risale a solo un anno e mezzo fa, con il governo Draghi.

Il buco più grosso – 1,6 miliardi – è legato alla definizione agevolata delle somme dovute a fronte del controllo automatico delle dichiarazioni del 2020, 2021 e 2022, che riduce dal 30 al 3% le sanzioni per chi ha commesso irregolarità e consente di pagare a rate in cinque anni. L’intervento viene giustificato con la necessità di “fornire supporto alle imprese e ai contribuenti in generale, soprattutto nell’attuale situazione di crisi economica dovuta agli effetti residui dell’emergenza pandemica e all’aumento dei prezzi dei prodotti energetici (…) riducendo gli oneri a carico dei contribuenti ed estendendo l’ampiezza dei piani di rateazione”. Risultato: lo Stato su questo fronte sceglie di rinunciare a 387 milioni di incasso già l’anno prossimo e ad altrettanto nel 2024, spiega la Relazione.

Altra botta pesantissima agli incassi fiscali deriverà dalla Rottamazione quater, ovvero la nuova definizione agevolata delle cartelle affidate all’Agenzia delle Entrate Riscossione dal 2000 al 2022 con tanto di abbuono degli interessi e dell’aggio: nel complesso la stima è di 1,3 miliardi in meno di cui 913 milioni nel 2023. Questo perché, a differenza che per le precedenti rateizzazioni, verranno abbuonati tutti gli interessi, le sanzioni e l’aggio per poi consentire il pagamento a rate in cinque anni. Di conseguenza “l’introduzione della nuova misura agevolativa”, attesa la relazione, “produrrà una flessione sulla previsione di riscossione in quanto una parte dei carichi per i quali si stima l’adesione alla nuova misura agevolativa, sarebbero stati prevedibilmente riscossi, al lordo delle componenti abbuonate, attraverso l’ordinaria attività di recupero oppure per il tramite di rateizzazioni di pagamento”.

Costa poi oltre 730 milioni lo stralcio delle mini cartelle sotto i 1000 euro affidate alla Riscossione tra 2000 e 2015. Il testo smentisce il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che in conferenza stampa aveva detto che “non sono più esigibili” e riscuoterle sarebbe “costato di più” che annullarle. Al contrario, spiega la Relazione tecnica, la misura comporta due effetti negativi: verranno annullati crediti per i quali sono ancora in corso pagamenti nell’ambito della Rottamazione ter e ci sarà un impatto negativo sulla riscossione ordinaria “derivante dall’annullamento dei singoli carichi di importo residuo fino a mille euro affidati dal 2000 al 2015, per i quali era ancora in essere un’aspettativa di riscossione“. Quest’ultimo effetto vale oltre 323 milioni di perdita attesa. L’impatto complessivo sulle entrate da riscossione ammonta a 451,5 milioni (di cui 245 per carichi affidati da enti previdenziali), a cui vanno sommati 285 milioni di mancati rimborsi di spese e diritti di notifica dell’erario e 9,7 milioni di aggio in meno. Le cifre sono relativamente contenute perché il nuovo condono segue lo stralcio del 2018 sulle cartelle dello stesso importo affidate fino al 2010 e quello del 2021 sui debiti fino a 5000 euro.

Passando alle misure che dovrebbero aumentare il gettito, al primo posto per incassi stimati c’è l’articolo 42 (anche questo quasi identico a una disposizione del decreto fiscale del 2018) che consente di chiudere ogni lite con il fisco, dal primo grado alla cassazione, pagando una percentuale del valore della controversia variabile a seconda della probabilità di vittoria. In caso di ricorso pendente in primo grado la quota è del 90%, che scende al 40% se l’Agenzia delle Entrate ha perso in primo grado, al 15 se è risultata soccombente in secondo grado e al 5% per definire una lite in Cassazione se le Entrate hanno perso nei gradi precedenti. Il gettito atteso è di 1,1 miliardi di cui solo 165 nel 2023.

L’articolo 40 su un ulteriore “ravvedimento speciale delle violazioni tributarie” attraverso il pagamento in due anni di “un diciottesimo del minimo edittale delle sanzioni”, oltre ad imposta e interessi dovuti, determina una perdita di 119 milioni nel 2023. Questo perché, in assenza di modifiche, l’anno prossimo i contribuenti avrebbero “ravveduto errori ed omissioni” per oltre 1 miliardo, mentre per effetto della nuova disposizione ne pagheranno solo la metà. E il presunto incentivo alla regolarizzazione dato dalle minori sanzioni non sarà sufficiente per coprire i mancati incassi. Al contrario, nel 2024 sono attesi maggiori introiti per 963 milioni nel 2024. Non molto considerato che le violazioni complessive in materia ammontano in media ogni anno a 65 miliardi di euro.

Nessun introito, in via prudenziale, è attribuito invece alla regolarizzazione delle irregolarità formali pagando solo 200 euro per ogni periodo di imposta coinvolto. Idem per la “Regolarizzazione degli omessi pagamenti di rate dovute a seguito di acquiescenza, accertamento con adesione, reclamo/mediazione e conciliazione giudiziale” con il versamento integrale di quanto dovuto entro il 31 marzo 2023 o in 20 rate trimestrali. “Alla disposizione in esame non si ascrivono maggiori entrate per il bilancio dello Stato”, annota tristemente il Mef, “in considerazione della manifestata bassa propensione all’adempimento, seppure in condizioni di favore, da parte della platea dei possibili destinatari della misura, prudenzialmente, alla disposizione in esame non si ascrivono maggiori entrate per il bilancio dello Stato”.

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