Ai Mondiali di Qatar 2022 ilfattoquotidiano.it tifa Marocco: le ragioni della nostra iniziativa (leggi)

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Tra il calcio e il Marocco c’è sempre stato un grande feeling. Per decenni, la nazionale marocchina è stata una potenza calcistica a livello africano e arabo, nonché la prima tra le africane a fare punti in un Mondiale. Non solo: il primo grande divo del calcio africano era marocchino. Si chiamava Larbi Ben Barek, ma per i tifosi era semplicemente “La Perla Nera”. Nato a Casablanca, e immediatamente notato dall’Union Sportive Marocaine (USM), Ben Barek aveva lo stile naif tipico di chi ha imparato a giocare a calcio per strada, ma soprattutto segnava in tutte le maniere. Nel 1937-38, Ben Barek guidò l’USM alla vittoria sia del campionato locale che della Coppa del Nord Africa – una vecchia competizione disputata prima della stagione delle indipendenze – calamitando l’attenzione degli scout dell’Olympique Marsiglia. In Francia sarebbe definitivamente esploso, finendo per essere convocato anche dalla nazionale francese. Qualche anno prima, però, aveva giocato una partita con un’embrionale selezione di calciatori marocchini, proprio contro la Francia (anche se con una formazione B), in cui aveva particolarmente impressionato gli scout francesi presenti allo stadio.

A quell’epoca, in tutto il Nordafrica, il calcio svolgeva una vera e propria missione sociale. Incoraggiava la coesione, stimolava lo spirito d’appartenenza e favoriva la costruzione di un’identità nazionale da contrapporre a quella imposta dai colonizzatori. Il Marocco non faceva eccezione. Sin dal 1902, quando venne fondato il Club Athletique Marocain, il club più antico del Paese, seguito vent’anni più tardi dalla nascita del primo, storico campionato marocchino, il calcio ha sempre rivestito un ruolo cruciale nella lotta anticoloniale marocchina. La storia delle due squadre più blasonate del paese, il Wydad e il Raja, entrambe di Casablanca, ne è la migliore testimonianza possibile. Anche se fondate in momenti diversi, a distanza di una decade l’una dall’altra, entrambe simboleggiavano la resistenza marocchina, come si intuisce anche dai nomi scelti dai padri fondatori: se Wydad significa “amore” in arabo, infatti, Raja vuol dire “speranza“. Quella di un’indipendenza che sarebbe arrivata soltanto nel 1956, con la successiva creazione del Botola, il moderno campionato nazionale che ancora oggi infiamma i cuori dei tifosi marocchini.

Inutile dire che Raja e Wydad, unite dallo spirito anticolonialista ma successivamente divise da un’atavica rivalità calcistica, ne avrebbero monopolizzato l’albo d’oro, vincendo rispettivamente 12 e 17 titoli nazionali. Non a caso quello di Casablanca è uno dei derby più appassionanti e incandescenti del mondo. Una partita leggendaria attorno alla quale ruota una delle figure più importanti della storia del calcio marocchino: Affani Mohamed Ben Lahcen, universalmente conosciuto come Père Jégo. Appartenente alla tribù d’Issafen, grande intenditore di calcio e fine psicologo, Père Jégo era stato tra i fondatori del Wydad, ma agli inizi degli anni ’50 in seguito ad alcuni dissidi aveva abbandonato il club, bussando alla porta dei cugini del Raja nati da poco.
Al Raja avrebbe lasciato la sua impronta, dotando la squadra di un calcio votato alla bellezza, ai virtuosismi e al fraseggio sincopato tipicamente sudamericano con cui appagare gli occhi dei tifosi, in aperta antitesi alla proposta di calcio molto fisica, infarcita di tatticismi, e basata sulla presenza di un ariete al centro dell’area, con cui si era presentato al Wydad anni prima. Erano bastati un paio di viaggi in Sudamerica per schiarirgli le idee, facendolo innamorare irrimediabilmente della bellezza naif del calcio latino e convincendolo che quella fosse la giusta rotta da seguire per la sua nuova creatura, il Raja: “Fisiologicamente i marocchini sono più simili ai sudamericani che agli europei. Dunque, è logico prenderli come modello d’ispirazione“.

Sarebbe stato però un allenatore croato, Blagoje Vidic, a regalare la prima gioia alla giovane nazionale marocchina, qualificandosi ai Mondiali del 1970. I Leoni dell’Atlante, che schieravano una formazione interamente composta da giocatori militanti nel campionato locale tra cui Ahmed Faras (che nel 1976 avrebbe alzato da capitano la finora unica Coppa d’Africa conquistata dal Marocco), erano la prima formazione africana a raggiungere un mondiale superando una fase eliminatoria. In Messico, pareggiando 1-1 con la Bulgaria grazie ad una rete di Maouhoub Ghazouani, sarebbero diventati anche la prima nazionale africana a raccogliere punti iridati. Sedici anni più tardi, sempre in Messico, e sempre con un allenatore straniero in panchina – questa volta il brasiliano convertito all’Islam José Faria, i Leoni dell’Atlante fecero anche meglio, vincendo un girone di ferro con Portogallo, Inghilterra e Polonia e diventando la prima selezione africana a spingersi alla fase ad eliminazione diretta di una Coppa del Mondo. Era quella la generazione d’oro di Bouderbala, Timoumi, Dolmy, Krimau e dell’insuperabile Badou Zaki, uno dei migliori portieri della storia del calcio nordafricano.

Il talento, comunque, non manca neppure oggi, anche se a differenza del passato solamente tre dei ventisei convocati per il Qatar militano nel Botola. Tutto ciò nonostante il campionato marocchino sia indubbiamente uno dei più quotati e competitivi del continente africano: secondo l’ultimo ranking dell’IFFHS, l’Istituto di Storia e Statistica del calcio, il Botola è attualmente il secondo miglior torneo d’Africa (trentesimo a livello globale), dietro solo al campionato algerino. Come per tutti i campionati del continente – ad eccezione in parte di Egitto e Sudafrica – però, per motivi economici è praticamente impossibile trattenere i migliori talenti del Paese.

Fino a poco tempo fa la National Radio and Television Company (SNRT) era il partner esclusivo del FRMF per la trasmissione delle partite di Botola. Da questo accordo, siglato nel 2018, le formazioni del campionato marocchino hanno ricavato in tutto il quadriennio 400 milioni di dirham, l’equivalente di circa 36 milioni e mezzo di euro, da spartirsi tra di loro secondo criteri di solidarietà. “L’attuale situazione dei diritti tv è la migliore formula a nostra disposizione, poiché tiene conto della trasformazione dei club in SPA”, ha dichiarato Hamza El Hajoui, il presidente del FUS Rabat. Troppo poco, tuttavia, per frenare l’emorragia di talento verso l’Europa, a cui ha dovuto inevitabilmente guardare il nuovo commissario tecnico Walid Regragui. L’ex coach del Wydad, arrivato al timone dei Leoni dell’Atlante dopo la turbolenta fine del regno del bosniaco Vahid Halilhodžić, ha l’intenzione di riprodurre con la nazionale il calcio frizzante e propositivo con il quale ha condotto il Wydad sul tetto d’Africa nel 2022. Per farlo, in Qatar si è portato anche Hakim Ziyech, il genio ribelle epurato per motivi etici dai suoi predecessori, pronto a far sognare di nuovo il Marocco.

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