di Monica Valendino

Qualcuno in questi improponibili mondiali dell’immoralità si sarà accorto che la voce silenziosa dello sport è spesso più potente e penetrante di mille suoni ripetitivi che quotidianamente bollano come bene e male questo o quel paese. Spesso ipocritamente cambiando idea e facendo passare per amico coloro che fino a poco prima erano nemico, come George Orwell aveva magistralmente narrato nel suo 1984.

Capita così che il silenzio durante l’inno da parte dei giocatori dell’Iran appaia come un urlo talmente penetrante che gli ayatollah di Teheran hanno iniziato a svergognare attraverso i loro media per il risultato i loro calciatori, che avranno perso sul campo, ma hanno fatto arrivare nel mondo una voce di dissenso che tutte le piazze fin qui sommate non sono riuscite ad eguagliare.

Non è da meno la Germania che si è tappata la bocca per la foto di rito mentre il capitano Neuer, impossibilitato dalla Fifa a indossare la fascia da capitano arcobaleno in omaggio alle lotte Lgbt, ha utilizzato degli scarpini con gli stessi colori. Non importa che la regia del Qatar abbia omesso queste immagini, quel che è arrivato è bastato a raggiungere miliardi di persone.

La potenza dello sport è questa: da Jesse Owens fino alla “democrazia corinziana” di Sócrates con il suo Corinthians, passando per lo Spartak Mosca che sfidò il Kgb di Beria perdendo giocatori finiti nei gulag sovietici, ma non fermando il tifo dissidente dentro e fuori dal campo.

Storie di sport e di protesta, di emancipazioni e di ricerca di un mondo migliore attraverso piccoli grandi gesti. Ora qualcuno si chieda se omettere la Russia da tutte le manifestazioni sportive non sia stato un delitto non tanto verso quel paese, che vede la cosa come una ripicca russofoba e si unisce, ma verso lo sport e la sua anima. Chissà, forse i tifosi russi avrebbero potuto esibire striscioni contro la guerra, magari i calciatori avrebbero potuto lanciare messaggi. Il dissenso non si costruisce con le sanzioni, ma lasciando che cresca laddove ci sono decisioni autoritarie.

Lo sport è qualcosa che travalica la politica che usa un linguaggio tutto suo, lo sport alla fine riesce anche ad unire e ottenere quello che armi e slogan possono solo peggiorare. Oramai è tardi per il Mondiale, ma nel prossimo futuro qualcuno dovrebbe chiedersi se preferisce l’intransigenza ideologica (dimenticandosi i propri peccati sotto il tappeto) oppure l’apertura verso gli altri.

E anche se tutto questo non fosse avvenuto, perché a Mosca la questione Ucraina non è nata a febbraio ma anni prima e complice è anche la sordità europea, forse sul campo sarebbe potuto avvenire comunque qualcosa. Si narra che l’Unione Sovietica abbia iniziato a scricchiolare non tanto per i suoi problemi atavici quanto per la sconfitta della sua nazionale di hockey contro gli Stati Uniti nel 1980. Un’onta storica che ancora oggi viene vista come una ferita dolorosa.

Fatto sta che lo sport ha una forza enorme, peccato solo che alla Fifa e omologhi la cosa non interessi, perché quello che conta sono gli interessi bancari dovuti a introiti che con lo sport non hanno nulla a che fare.

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