di Roberta Ravello

L’unisex sta crescendo in popolarità da alcuni anni. Icone dello spettacolo hanno successo indossando uno stile mixato (uomini con capi di abbigliamento tradizionalmente da donna e viceversa), tradendo un cambiamento culturale verso uno stile più androgino che piace soprattutto alle persone giovani. Non è solo moda, c’è di più. Anziché evidenziare le differenze, c’è voglia di ricalcare le somiglianze per alleviare gli stereotipi del passato.

Si è cominciato a parlare di cervello androgino nel 1974, quando la psicologa Sandra Bem ha proposto il concetto di “androginia psicologica”: lo stesso individuo che esibisce attributi mentali sia maschili sia femminili. Un anno dopo Bem ha sostenuto che chi è psicologicamente androgino ha una salute mentale maggiore essendo più flessibile nel far fronte ai problemi. Altri studiosi hanno poi sviluppato il lavoro di Bem per sostenere che gli individui psicologicamente androgini sono anche più creativi (flessibilità cognitiva). Ma le basi neurologiche dell’androginia psicologica si sono palesate solo nel 2021, quando i ricercatori dell’Università di Cambridge hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per mappare l’attività cerebrale su base fisica. Secondo il loro studio, se anche esistono piccole differenze tra il cervello di individui maschili e femminili, i due sono per lo più simili e la cultura può influenzare direttamente la biologia di un individuo in età infantile, quando il cervello è maggiormente neuroplastico. Se hanno ragione, le differenze di sesso nel cervello non sono naturalmente presenti: sono prodotti sociali e culturali. Sempre secondo quello studio, i cervelli androgini (centristi) sono in aumento e sarebbero meno soggetti a malattia mentale rispetto a quelli polarizzati nella dicotomia uomo/donna.

E allora, conformarsi alle aspettative sociali e culturali di mascolinità e femminilità ha un costo per il benessere mentale; mentre essere liberi di scegliere, di adattarsi al contesto, dà maggiori chance di raggiungere la felicità. Nel linguaggio comune, lo stesso concetto viene comunemente espresso facendo riferimento alla metafora della “mezza mela”, per cui la massima felicità si ottiene se si può ricostituire l’intero. Non tutti sono in grado nella vita di trovare l’anima gemella, non sarebbe auspicabile che ciascuno fosse in grado di ricompattare la propria unità maschile e femminile da sé? Se una persona per trovare il proprio partner ideale interiore ha bisogno di sbizzarrirsi con atteggiamenti o vestiario poliedrico, perché dovrebbe essere un problema per la società?

Posto che questi cervelli centristi siano realmente in aumento, per me significa più persone equilibrate in circolazione. Questo mutamento anziché ostacolato andrebbe a mio avviso supportato. Quindi andrebbero meno evidenziate le differenze per soffermarsi sulle somiglianze, quello che si fa generalmente quando si cerca di costruire un processo di pace sociale. Una persona dovrebbe essere lasciata libera di esercitare le proprie qualità maschio-femmina a seconda del contesto, senza che diventi bersaglio di biasimo sociale. Un uomo, infatti, potrebbe desiderare di fare l’infermiere e una donna il muratore. Un uomo potrebbe optare per accudire i figli e la sua partner per portare a casa lo stipendio. Perché le scelte dovrebbero essere costrette da una tradizione che non può vantare di aver risolto i problemi o portato alla felicità coniugale, semmai l’opposto? Avere tanti strumenti di adattamento, anziché pochi, in nessun caso, mi pare, può essere visto come un difetto, tranne da chi lo percepisce come minaccia.

Sono una inguaribile ottimista. Penso che il meglio debba ancora venire. Mai vorrei tornare ai dettami di vita delle donne del passato e penso che valga lo stesso per la maggior parte degli uomini contemporanei nella società occidentale. Benvenuti uomini con la gonna. Io porto solo i pantaloni da decenni.

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