Non è facile, per niente facile vivere con l’acufene. Il primo attacco lo ebbi nel 2007. Ero a letto e il mio cervello iniziò a rimbombare a causa di un fischio costante, onnipervasivo, catastrofico. In un primo momento pensai che fosse l’antifurto di una macchina, poi compresi che era il mio orecchio a generare questo sibilo mostruoso.

Il giorno dopo andai su internet e capii subito che non c’era molto da fare, si trattava di ingannare il mio cervello per non impazzire. Dovevo fare affidamento sulla mia capacità di fare assimilare questo disturbo alla mia materia grigia. Dovevo distarmi.

Iniziai a vagare per la città di notte. Camminavo e camminavo sotto le stelle ignare del mio dramma acustico. All’alba arrivavo da Stefano, il mio amico edicolante che faceva l’apertura, la prima volta mi guardò con stupore “che ci fai Ricky qui?”; “ho un sibilo atroce nell’orecchio che non mi fa dormire, è una cosa tremenda” e lui mi disse “problemi speciali per persone speciali”.

Tornai più volte da Stefano perché in fondo mi aveva dato una visione originale del problema: ero speciale! Poi è iniziata la fase in cui dormivo con il computer acceso e mettevo 10 ore di pioggia e tuoni come sottofondo, così il cervello si concentrava sulla pioggia e riuscivo ad addormentarmi in qualche modo.

Di giorno la vita è quasi normale. I rumori salvifici del traffico e delle persone che vivono e che si muovono tendono a coprire il sibilo. Il problema sono le ore notturne dove è il silenzio a regnare sulla città e di conseguenza è il sibilo a essere il protagonista.

Per fortuna il cervello è intelligente e plastico e nel tempo il sibilo si è attenuato o forse è stato semplicemente digerito dalla psiche. È lo stesso principio che non ti fa più sentire il ticchettio dell’orologio, il ticchettio c’è ma il cervello non lo calcola più, lo metabolizza.

Il problema è che vivi nel costante terrore che il sibilo torni a essere catastrofico e non ti lasci più sprofondare nei sogni, tirannicamente presente. Ho scoperto che anche il regista Pedro Almodovar soffre di tinnitus. Sono in buona compagnia. Deve essere un problema dei registi di genio.

Altra consolazione, non sentirsi soli aiuta, come con gli alcolisti anonimi. Mi dico: Riccardo, se dovesse tornare non è la fine, ci sono soluzioni: il suicidio per esempio. Ricordo di avere letto anni fa una notizia che mi sconvolse: una donna un giorno iniziò a singhiozzare e non smise più, le fu diagnosticato un singhiozzo cronico. Dopo due anni di singhiozzo si buttò dal settimo piano e smise di singhiozzare per sempre.

Certo sarebbe la soluzione finale, ma prima di arrivarci potrei sempre passare le mie notti in discoteca (anche se il rumore della discoteca poi te lo porti nel letto e le orecchie fischiano ancora di più), oppure potrei trasferirmi nella città più rumorosa del mondo o vivere con le cuffiette ascoltando sempre Mozart. Insomma, prima di uccidermi ci sono varie opzioni da considerare.

Per fortuna vivo da solo. Sarebbe impossibile stare vicino a un uomo che soffre di acufene. Il corpo è una macchina meravigliosa, ci dona tanto piacere, ma è anche in grado di trasformarsi in una vera e propria tortura, una trappola senza scampo.

Questo pezzo lo sto scrivendo all’una di notte perché il tinnitus è più fastidioso del solito. Non riesco a distrarmi, forse il mio cervello si è stancato di farsi ingannare, forse è lo stress e la mia mente ingigantisce tutto.

L’universo perde la sua infinitezza e si riduce a un sibilo vertiginoso. Si diventa quasi religiosi. Viene da pregare il dio delle orecchie, di supplicarlo di abbassare il volume. Sto scrivendo con le finestre spalancate, inizia a piovere, che bello, la pioggia e il vento diventano amici, come per i ciechi che “vedono” grazie alle dita della pioggia che plasmano il mondo circostante.

Ora cercherò di riaddormentarmi provando a ignorare il sibilo. Con la mia fantasia mi tufferò in un harem pieno di belle donne con grappoli d’uva per la mia bocca, chiamerò il dio Eros a farmi compagnia, mi ecciterò e…non dormirò più, maledizione!

Non è facile, non è per niente facile vivere con l’acufene. Ti accorgi di una verità cristallina. Per continuare a vivere ognuno di noi deve ingannarsi, ignorarsi, fare finta di nulla, fino a quando non sarà il nulla a renderci finti: ologrammi di polvere nel silenzio infinito.

Ah, ll silenzio, che chimera! Mi è venuta un’idea: potrei fare boxe notturna. Colpire un sacco fino a sfinirmi e poi essere così stanco da dormire anche con un’orchestra di timpani nelle mie povere orecchie. Forse la vera soluzione è diventare Mike Tyson.

Prima di gettarmi nel vuoto devo lottare, ma continuo a pensare a quella povera donna del singhiozzo cronico, dio mio, come ha potuto resistere due anni? Due anni di singhiozzo è la mia eroina. La martire di ogni sventura organica e non so nemmeno il suo nome. Ti amo.

A noi due sibilo, non sei più forte di Ricky Farina, devo amare, amare tutto, anche te. Alla fine solo l’amore ci salva, l’amore per una chiocciola o l’amore per un sibilo bastardo. Pedro, ma tu come fai?

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