Radical chic, sinistra al caviale, comunisti col Rolex, tutte etichette meravigliose e commoventi. Non ho simpatie per le etichette, ma queste sono fantastiche e le faccio mie.

I radical chic sono persone straordinarie che io amo profondamente, stanno bene nelle pittoresche osterie a bere il Lambrusco ma anche nel ristorante di lusso, sanno che lo champagne è metafisico, con tutte quelle bollicine dorate che vanno verso lo spazio celeste del godimento. Vivono una condizione di agiatezza ma sono sensibili verso chi è meno fortunato di loro, come non amarli? Potrebbero starsene tranquilli, avvolti nel lusso come mummie, invece lottano e si battono per i diritti umani. detestando ogni forma di totalitarismo, sia di sinistra che di destra. Sono esseri superiori, senza ombra di dubbio. Ne vorrei citare due che sono come delle divinità ai miei occhi: Leonard Bernstein e Bernard-Henri Lévy.

Il termine radical chic nasce proprio grazie a un party organizzato dalla moglie di Leonard Bernstein in favore del movimento delle Pantere Nere, il ricevimento si tenne nell’attico di 13 stanze dei Bernstein a Park Avenue nel 1970, con ampia vista su Manhattan. dove signore ingioiellate con abiti lunghi da sera alzavano il pugno insieme al movimento marxista-leninista delle Pantere Nere, e lo scrittore giornalista Tom Wolfe stigmatizzò questa situazione paradossale col termine radical chic.

Bernstein, un genio musicale, direttore d’orchestra impetuoso e istintivo, compositore della colonna sonora più straordinaria della storia del cinema: West Side Story, uno in grado di fare perdere la pazienza anche al grande tenore spagnolo José Carreras (c’è un video molto gustoso su YouTube a riguardo).

Altra stella di noi radical chic è il filosofo e scrittore francese Bernard-Henri Lévy, figlio di un magnate del legname, ricchissimo di famiglia, vanesio e intelligentissimo, porta sempre delle camicie bianche impeccabili, sbottonate in modo tale da stimolare lo sguardo ad andare in alto, verso il colletto, e non verso il basso, regno della “meschineria genitale”. Per questo “maestro spirituale” provo una sorta di invidia buona: ricchissimo, colto, intelligente, coraggioso, affascinante, e come se non bastasse ha avuto una storia d’amore (con matrimonio di contorno) con un’attrice sensuale come poche: Arielle Dombasle. Se volete gustare le forme sinuose di questa attrice vi consiglio un film di Eric Rohmer, Pauline alla spiaggia, dove potrete inebriarvi gli occhi perché Arielle si vede spesso in costume, sulla spiaggia, appunto. La ricordo in una intervista di tanti anni fa alla televisione francese dove disse che il suo colore preferito era “il trasparente”, ma vi rendete conto? Ebbi un’erezione intellettuale.

Bernard-Henri Lévy è un accanito antiputiniano come il sottoscritto, perché anche lui come me detesta i dittatori, ma lui è un uomo d’azione, va nei teatri di guerra (alcune volte non portando l’elmetto di protezione per educazione, perché chi lo scortava nelle linee a un passo dal nemico non lo indossava) a documentare la ferocia putiniana, rischiando di macchiare di sangue le sue bellissime camicie bianche sbottonate, c’è nulla di più poetico? La poesia vive di questi contrasti.

Vedete come sono straordinari i radical chic? Anche noi in Italia ne abbiamo avuti, per fortuna. Un nome degno di Bernstein e Lévy è sicuramente Elio Fiorucci, stilista, imprenditore, uomo di cultura vicino a Keith Haring, Madonna, Andy Warhol, Vivienne Westwood, Malcolm McLaren (produttore dei Sex Pistols). Elio ha lasciato il segno in una città come Milano, uomo generoso, mecenate, sempre disponibile, aperto, sorridente, amante della libertà e dello champagne, nei suoi negozi andavi per divertirti, non per comprare, anzi, se non compravi venivi trattato con infinita gentilezza perché significava che non avevi i soldi, ma avresti potuto averli un giorno, e quindi tornare verso chi ti aveva rispettato nella tua povertà momentanea. L’assenza radicale di ogni volgarità: ecco Elio Fiorucci.

Tra le donne radical chic come non ricordare Marta Marzotto? La regina dei salotti, anche lei mecenate generosissima, amante del pittore Guttuso, che dipinse il meraviglioso fondoschiena di Marta nei suoi quadri innamorati. Di lei ricordo una frase geniale, cito a memoria “un uomo per farti innamorare deve essere chic, avere lo cheque e darti lo choc”. Quanta grazia, quanta femminilità, quanta curiosità intellettuale, donna straordinaria. La vidi una mattina seduta in un bar della Stazione Centrale a Milano, indossava uno dei suoi vestiti lunghi colorati, etnochic, uno splendore, una vera e propria apparizione in mezzo a tanta gente anonima e angosciata dalla fretta.

No, signori miei, a me il popolaccio fa orrore, come facevano orrore i rivoluzionari sanguinari al grande Chateaubriand che disse di se stesso: “Io sono monarchico per tradizione, legittimista per onore, aristocratico per costumi, repubblicano per buon senso”. Il popolaccio è sempre di destra, sanguinario, volgare, incolto, inconsapevole di caviale e champagne, sbrodolato di pasta al sugo e bestemmie, impossibilitato a gustare le delizie di un filetto Tournedos alla Rossini: medaglioni di filetto di manzo rosolati in padella e sfumati con brandy, serviti con foie gras e tartufo nero, adagiati sopra dischi di pancarrè, delizia delle delizie che dobbiamo al nostro Rossini, genio musicale e culinario.

Il nostro disgusto radical chic per il popolaccio è eterno, assoluto e soprattutto morale. Chi non beve champagne è un depravato, e non è nemmeno una questione economica ma morale, perché un mio caro amico spiantato che vive con 500 euro al mese beve sempre champagne (Salon, uno dei più costosi), in compenso ha pochissimi denti, ma preferisce la metafisica delle bollicine dorate alla volgarità di un impianto dentistico. Fateci caso, i radical chic sono odiati dai destrorsi, dal popolaccio ignorante (non il popolo, attenzione) e dai “sinistracci” che brindano alla morte di Gorbaciov (e sicuramente hanno brindato con un triste prosecchino).

Del resto, il dio assoluto di noi radical chic è Oscar Wilde, che scriveva con inarrivabile arguzia “niente è più necessario del superfluo”. Come potete capire, radical chic non è una parolaccia, ma una parola che descrive perfettamente una natura umana chic, altruista e nobile d’animo, l’essenza più alta raggiunta dall’essere umano, a mio immodesto avviso, e sono fiero di farne parte a tutti gli effetti e “affetti”.

Libiamo, libiamo ne’ lieti calici, che la bellezza infiora
E la fuggevol, fuggevol ora s’inebri a voluttà.

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