Con il ritorno di Berlusconi in Parlamento, la sua mano sul Dipartimento all’editoria, si torna a parlare di contributi pubblici ai giornali, quelli che dovevano essere aboliti quest’anno e invece andranno avanti fino al 2028, tanto che sono appena piovuti altri 230 milioni di fondi straordinari. Sono tanti a dover ringraziare, ma pochi quanto Massimo Massano, ex onorevole missino col vitalizio, grande amico di La Russa, con avventure politiche e imprenditoriali alquanto singolari che può vantare un piccolo record nella categoria: con il suo quotidiano torinese “CronacaQui” è riuscito a ottenere dallo Stato la bellezza di 46 milioni di euro. Classe 1950, nato a Mogadiscio ma torinese da una vita, licenza media superiore, editore milionario. Il suo nome è fuori dai radar delle vicende pubbliche da un ventennio, ma coi soldi pubblici ha mantenuto un appuntamento fisso ogni anno: amministra Editoriale Argo, la società torinese che edita il foglio locale che dal 2003, con 11 governi diversi, è riuscito sempre a ottenere il suo contributo a sei zeri.

“Guardi che secondo me ha sbagliato i conti” risponde Massano, che è uomo schietto e difende a spada tratta l’aiuto pubblico: “Con quei soldi in 20 anni abbiamo creato un giornale credibile e autorevole che è il secondo più letto a Torino e Provincia. Del resto, come fanno i giornali a sopravvivere senza?”. Il problema, però, potrebbe anche essere ribaltato: possono sopravvivere solo con contributi statali giornali che non stanno in piedi con le vendite? E quanta trasparenza c’è dietro l’erogazione, cosa si sa dei beneficiari?

Se a Massano, ad esempio, si ricordano cronache poco edificanti del passato va su tutte le furie: “Ho il casellario pulito io, glielo mando”, risponde inviando un documento che effettivamente riporta “nulla”. Idem per affari che non ama si rivanghino (“le ricordo che anche lei ha lavorato per me, sarebbe spiacevole farle causa”) e più ancora se all’uomo da 40 milioni di euro si chiede conto di due trust familiari all’estero, col nome di battaglia di Italo Balbo e del cane della moglie. “Non confermo e non nego, la prego però di non scrivere sull’argomento, è una violazione della mia privacy”.

Non sai ma se scherza, Massano. Quando fu introdotta l’anagrafe patrimoniale degli eletti, per dire, lasciò alcune annotazioni singolari sulle schede: nel 1988 “Sono diventato povero”, nel 1989 “Sempre peggio”, nel 1993 “I soldi finiscono rapidamente”. In parte sono finiti in varie proprietà immobiliari all’estero (Parigi) e in Italia: un superattico di due piani con lastrico solare nella centralissima Piazza C.L.N. a Torino. La Russa ne è spesso ospite. I due, del resto, condividono un passato giovanile nero, tornato di moda oggi sui banchi del governo.

Massano entrò in Parlamento nel 1987, tra le fila del Movimento Sociale Italiano. La campagna elettorale fu un regolamento di conti a destra. Il compagno di partito e primo dei non eletti Ludovico Boetti Villani lo accusò di “truffa elettorale” e lo portò in pretura: non si dava pace che l’altro avesse tappezzato Torino di manifesti artefatti che lo ritraevano a fianco di Giorgio Almirante, “una serie di millanterie per accreditare che egli godesse di rapporti di particolare credito con Almirante”, si legge su La Stampa dell’epoca. La Procura chiese di processare Massano, lui denunciò l’altro di estorsione: lo avrebbe minacciato di mostrare alla moglie delle Polaroid imbarazzanti con una donna Santa Margherita Ligure. Non se n’è più saputo nulla.

Si tornò a parlare di lui, di processi e autorizzazioni a procedere nel 1990, quando La Russa, all’epoca segretario regionale, e Massano, deputato, s’inventarono le “pattuglie tricolori”, in pratica ronde anti immigrati e zingari. Martelli chiese di processarlo per “usurpazione di pubbliche funzioni”. Nel 1993 sarà condannato a un anno, pena commutata in 750 mila lire di multa. Massano lascia la politica dopo due mandati proprio quando il centrodestra torna al potere: “Io sono stato un precursore di Grillo!“, rivendica sornione.

Si fa torto al personaggio a non ricordare che è stato anche un grande imprenditore dell’Italia analogica. Sicuramente tra i primi a intuire il potenziale delle tv commerciali sulla dabbenaggine dell’uomo qualunque evoluto in “telespettatore”. Negli anni Ottanta le case degli italiani divennero il regno del tecnicolor, la maggior parte degli apparecchi non aveva il telecomando. Nel 1979 Massano, che all’epoca aveva 31 anni ed era consigliere comunale a Torino, ebbe l’intuizione geniale di vendere telecomandi con la sua “Postal Shop”.

Nelle pubblicità si vedeva l’attore Alberto Lupo in poltrona che stringe tra le mani il “telecomando universale Concord”, una scatola piena di pulsanti, “tuo per modiche 16.900 lire”. Gli ordini impazzavano, ma gli acquirenti non erano soddisfatti: il “prodotto di altissima tecnologia” , ricorda la stampa dell’epoca, altro non era che “una scatola vuota e i pulsanti erano fissi. Non serviva a nulla”. Stando ai giornali Massano fu condannato nel 1987 dal pretore di Torino a 8 mesi di carcere per truffa. Forse anche in questo caso se la cavò con un ammenda, come dice lui.

Guai a tirargli fuori un vecchio articolo de l’Unità che racconta le disavventura di “Casamercato paga bene in contanti”, altro spot-tv che martellava gli anni ruggenti della fiera televisiva. Dietro questo “miracolo”, riportava nel 1987 il quotidiano fondato da Gramsci, si celava una truffa. Per Massano “non c’entrava proprio nulla, fu un abbaglio del giornale”.

Venne l’era del cellulare, delle suonerie a pagamento, dei loghi e dei quiz in abbonamento. Massano è tra i primi a tuffarsi nel business con varie società per servizi di “svago e intrattenimento per il cellulare”. Gli spot andavano a manetta sugli schermi tv. Senza lente nessuno poteva però cogliere la scritta “servizio in abbonamento”, o più tecnicamente “programmi di affiliazione”. Quella pratica commerciale fu poi sanzionata dall’Antitrust come scorretta, ma con multe irrisorie rispetto ai profitti che garantiva. Finché fu spazzata via dall’internet gratis.

Nell’ultimo decennio, Massano sembra aver liquidato i business più “corsari” per tenersi il più sicuro di tutti, quello garantito da uno Stato che – senza far troppe domande – elargisce contributi pubblici. Restano dunque l’Editoriale Argo e il suo giornale. Per intercettare contributi pubblici la forma societaria cambia in requisiti via via richiesti dalla norma. Nasce come “CronacaPiù” quando era ancora ammesso il finanziamento ai giornali di partito. Massano si “appoggiò” alla destra radicale rappresentata dal sedicente “Movimento monarchico italiano”, un manipolo di nostalgici che – ricordano Rizzo e Stella ne “La Casta” .- “vendeva online gadget come la ‘semisfera commemorativa in cristallo diametro 90 millimetri con inciso il busto di Umberto II”.

I finanziamenti ai giornali organi di partito vengono aboliti nel 2017, arriva l’era delle cooperative. L’Editoriale Argo affitta allora la testata a una sedicente “Società Cooperativa Corpo 12”. Poi si annuncia la stretta anche su quelle, e nel colophon campeggia oggi un temerario “Fondazione Quarto Potere”, qualunque cosa significhi (una Srl della moglie di Massano poi liquidata nel 2000 si chiamava così). “Senta le cose stanno così, io non sono formalmente un editore perché l’accesso ai fondi pubblici avviene tramite una società editrice posseduta da una fondazione: sono semplicemente l’amministratore della società che percepisce i fondi”. Ma ieri, oggi e domani è sempre il giornale di Massimo Massano.

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