I migranti a bordo della nave Rise Above sono sbarcati nel porto di Reggio Calabria, quelli delle navi Humanity 1 e Geo Barents a Catania, e quelli a bordo della Ocean Viking sono in viaggio verso la Francia e dovrebbero arrivare a Marsiglia entro giovedì. Durata settimane, la prima crisi dei migranti del governo di Giorgia Meloni si è conclusa nelle stesse ore. Diverso è però il trattamento ricevuto dalle navi e diverse sono le implicazioni. “Bene così, l’aria è cambiata”, ha scritto sui suoi profili social il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini. Ma allo scontro con Bruxelles il governo italiano non è voluto arrivare, con gli sbarchi selettivi imposti dalla nuova direttiva del Viminale risolti in un “tutti a terra” per ragioni sanitarie. Quanto alla decisione di Parigi sulla Ocean Viking, non è la “disponibilità a condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria” che Palazzo Chigi dichiara di aver incassato. Fonti interne al governo francese parlano di “comportamento inaccettabile dell’Italia, contrario al diritto del mare”, e mentre la nave di Sos Mediterranée è già in rotta verso le acque francesi, il portavoce del governo di Emmanuel Macron ribadisce che le regole impongono l’attracco in Italia. Diritto che tra l’altro non cambia. “Sul fronte delle norme internazionali non è cambiato assolutamente nulla: la soluzione francese non vìola la Convenzione SAR, le cui regole continuano però a individuare nei porti italiani la soluzione con tutta probabilità più sicura per i soccorsi nel Mediterraneo centrale”, spiega Chiara Favilli, docente di Diritto dell’Unione europea a Firenze.

Gli 89 migranti della Rise Above sbarcati a Reggio Calabria e soccorsi in acque territoriali italiane sono stati considerati protagonisti di un evento di ricerca e soccorso (SAR) che in quanto tale deve concludersi con lo sbarco nel porto sicuro raggiungibile nel minor tempo possibile. Diversa la valutazione fatta sulle navi Humanity 1 e Geo Barents, alle quali era stato accordato l’approdo a Catania solo per il tempo necessario allo sbarco dei vulnerabili. L’ormai famoso “sbarco selettivo” imposto dalla direttiva interministeriale firmata lo scorso 4 novembre dai ministri Piantedosi (Interno), Salvini e Crosetto (Difesa), che rivendica la discrezionalità di determinare se quelli a bordo di una nave sono persone soccorse in mare o semplicemente migranti entrati illegalmente nel Paese. Provvedimento che non sembra reggere sul piano giuridico, tanto che i comandanti delle navi si sono opposti e le rispettive Ong hanno annunciato ricorso contro i provvedimenti che intimavano loro di riprendere il mare. Una situazione di stallo che nelle intenzioni del governo è stata una prova di forza con Bruxelles, da dove in questi anni non sono arrivate soluzioni soddisfacenti. Ma al netto del monito dell’Europa a “far sbarcare tutti” e a “rispettare il diritto a chiedere asilo di chi si trova in acque territoriali”, al confronto diretto con l’Unione europea il governo non ha voluto arrivare. Alla fine si è deciso di far scendere tutti delegando la decisione alle autorità sanitarie, rimandate a bordo per nuove ispezioni. A terra perché “fragili” tutti i 212 della Geo Barents di Medici Senza Frontiere e così i 35 ancora a bordo della Humanity 1 della ong tedesca Sos Humanity, dopo che gli ispettori dell’Usmaf (Uffici sanità marittima area di frontiera) hanno riscontrato un elevato rischio psicologico.

Diverso il destino delle 234 persone soccorse dalla Ocean Viking di Sos Mediterranée, da 20 giorni vicina alle coste della Sicilia dopo aver chiesto all’Italia la disponibilità di un porto sicuro. Una richiesta imposta dalla normativa internazionale sul soccorso in mare alla quale, stavolta, l’Italia ha scelto di non rispondere. “La Convenzione internazionale sul soccorso non vieta che vi sia disponibilità da più paesi costieri, ma per rispettare la norma le persone devono andare nel luogo più vicino e sicuro”, spiega la giurista Chiara Favilli. A questo serve la definizione delle zone SAR e delle relative competenze, “perché sia immediatamente individuabile lo Stato che interviene”. A questa regola l’Italia ha invece deciso di sottrarsi e la situazione non si è sbloccata finché Parigi non ha annunciato ieri di offrire il porto di Marsiglia dove, è stato annunciato, “sbarcheranno tutti, senza alcuna selezione”. La decisione sarebbe arrivata dopo il colloquio di lunedì sera tra la premier Meloni e il collega francese Macron. “Esprimiamo il nostro sentito apprezzamento per la decisione della Francia di condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria, fino ad oggi rimasta sulle spalle dell’Italia e di pochi altri stati del Mediterraneo, aprendo i porti alla nave Ocean Viking”, ha dichiarato la nostra presidenza del Consiglio. Che rivendica di aver agito nel pieno rispetto dei diritti umani e della legalità e aggiunge: “E’ importante proseguire in questa linea di collaborazione europea, l’emergenza immigrazione è un tema europeo e come tale deve essere affrontato”.

Ma si tratta di una lettura tutta italiana, almeno per ora. “L’atteggiamento delle autorità italiane è irresponsabile e contrario al diritto del mare ed allo spirito di solidarietà europea. Noi ci aspettiamo altre cose da un Paese che oggi è il primo beneficiario del meccanismo di solidarietà europea”. A dirlo all’agenzia francese France Presse sono fonti interne all’esecutivo di Macron a meno di 24 ore dalla decisione sulla Ocean Viking. Rilanciate oggi dal portavoce del governo francese, Oliver Véran, che ribadisce come per le regole vigenti spetti all’Italia di accogliere la Ocean Viking. Non solo. “Marsiglia non sarebbe stato individuato se porti più vicini fossero stati resi disponibili, si tratta di un adempimento dell’obbligo da parte della Francia dovuto all’inadempimento dell’obbligo da parte di altri”, spiega Favilli. Che chiarisce: “La regola è una soltanto: l’obbligo di ricerca e soccorso grava su tutti quelli in grado di intervenire e di offrire un porto sicuro. L’individuazione del porto migliore è una valutazione che va poi fatta caso per caso e se la scelta ricade per lo più sull’Italia è perché siamo il paese più grande tra quelli esposti su questo tratto del Mediterraneo, e quindi ragionevolmente più sicuro per chi deve essere salvato”. Le vicende di questi giorni, è bene chiarirlo, non cambiano la regola e a meno di non volerci sottrarre al diritto internazionale sul soccorso in mare, gli obblighi dell’Italia rimangono gli stessi. L’opzione di porti sicuri più distanti andrebbe poi valutata in base alle condizioni di chi è a bordo. “Ci sono 234 persone tra le quali 55 minori che hanno bisogno di sbarcare immediatamente. Il più piccolo di loro ha soli 3 anni. Ci sono 17 persone che hanno bisogno di essere diagnosticate e tre, probabilmente, di essere ospedalizzate. Una di queste ha la polmonite e non risponde agli antibiotici”, si leggeva nell’ultimo comunicato della Ocean Viking. Condizioni che però non sono state tenute in considerazione per la conclusione della vicenda.

“Diverso sarebbe stato se la Francia avesse accolto i migranti dopo il loro sbarco in Italia”, aggiunge Favilli. In quel caso la Convenzione SAR sarebbe stata pienamente rispettata, un segnale importante all’Europa che ancora deve discutere la possibilità che i paesi Ue accolgano quote obbligatoria di migranti. Ma decisioni come questa e la stessa riforma del regolamento di Dublino, che vede nel paese di primo ingresso quello titolato a raccogliere le richieste d’asilo, non hanno ancora sufficienti sostenitori e il Patto di solidarietà sui ricollocamenti volontari, sottoscritto a giugno da 19 Stati Ue e da altri 4 Paesi dentro Schengen, non decolla e non esiste obbligo a carico dei partner europei. Né il nostro governo ha ancora dichiarato quale posizione intenda tenere nei negoziati in merito. In questa situazione un’eventuale accoglienza della Francia dopo lo sbarco in Italia avrebbe significato di fatto che è possibile “sbarcare sul suolo europeo”. Una forzatura alla quale Meloni ha rinunciato visti gli altri, importanti dossier italiani sul tavolo di Bruxelles, a partire dalle legge di bilancio. Insomma, al termine delle prima crisi dei migranti del nuovo esecutivo, nulla è davvero cambiato sul piano europeo né su quello del diritto internazionale, se non la dimostrazione dell’Italia di essere capace di violarlo.

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