Con la pandemia le partenze sono rallentate, ma dal 2006 ad oggi la presenza degli italiani all’estero è progressivamente cresciuta passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni. E sono sempre di più i giovani che decidono di andarsene “perché l’Italia ristagna nelle sue fragilità“, senza possibilità di ascensore sociale e di reale valorizzazione delle proprie capacità. È questa l’istantanea che emerge dal Rapporto italiani nel mondo di Migrantes, dove si sottolinea che sono più gli italiani all’estero degli stranieri residenti nel nostro Paese. Un documento che in particolare registra con preoccupazione le partenze dei giovani e sul quale interviene anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Mattarella: “Partono giovani che non fanno più ritorno e non per libera scelta” – “Il nostro Paese, che ha una lunga storia di emigrazione, deve aprire una adeguata riflessione sulle cause di questo fenomeno e sulle possibili opportunità che la Repubblica ha il compito di offrire ai cittadini che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia, per contribuire alla sua crescita recando la propria esperienza, e le proprie capacità”, ha detto Mattarella nel suo messaggio inviato al presidente della fondazione Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego. “A partire sono principalmente i giovani – e tra essi giovani con alto livello di formazione – per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Partono anche pensionati e intere famiglie. Il fenomeno di questa nuova fase dell’emigrazione italiana – continua nel suo messaggio il Capo dello Stato – non può essere compreso interamente all’interno della dinamica virtuosa dei processi di interconnessione mondiale, che richiedono una sempre maggiore circolazione di persone, idee e competenze. Anzitutto perché il saldo tra chi entra e chi esce rimane negativo, con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale“. Mattarella ricorda inoltre che “in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio. Il nostro Paese, che ha una lunga storia di emigrazione, deve aprire una adeguata riflessione sulle cause di questo fenomeno e sulle possibili opportunità che la Repubblica ha il compito di offrire ai cittadini che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia”. Centrali per “provvedere a disegnare e programmare un futuro diverso, che risponda alle esigenze dei giovani e ne valorizzi capacità e competenze corrispondendo alle loro attese”, sono “il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e le varie politiche adottate a livello europeo”.

I numeri e le regioni da cui si emigra di più – È un’Italia interculturale quella che emerge dal Rapporto, in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni). Dal 2006 ad oggi la presenza degli italiani all’estero è progressivamente cresciuta passando da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni. Oggi gli italiani risultano residenti in ogni luogo del mondo e ogni singolo territorio italiano ha visto in passato, e continua a vedere oggi, gli italiani partire e salutare i confini nazionali. Mentre l’Italia ha perso in un anno lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020), all’estero è cresciuta negli ultimi 12 mesi del 2,7% che diventa il 5,8% dal 2020. L’attuale comunità italiana all’estero è costituita da oltre 841 mila minori (il 14,5% dei connazionali complessivamente iscritti all’Aire) moltissimi di questi nati all’estero, ma tanti altri partiti al seguito delle proprie famiglie in questi ultimi anni. Ai minori occorre aggiungere gli oltre 1,2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni (il 21,8% della popolazione complessiva Aire, che arriva a incidere per il 42% circa sul totale delle partenze annuali per solo espatrio). La Lombardia (incidenza del 19,0% sul totale) e il Veneto (11,7%) continuano ad essere, come da ormai diversi anni, le regioni da cui parte il maggior numero di italiani che espatriano. Seguono la Sicilia (9,3%), l’Emilia-Romagna (8,3%) e la Campania (7,1%). Tuttavia, dei quasi 16 mila lombardi, dei circa 10 mila veneti o dei 7 mila emiliano-romagnoli molti sono, in realtà, i protagonisti di un secondo percorso migratorio che li ha portati dapprima dal Sud al Nord del Paese e poi dal Settentrione all’oltreconfine.

La pandemia frena gli espatri – Per quanto la pandemia abbia frenato le partenze, sono tanti i giovani che decidono di andarsene, soprattutto dal Nord Italia in un Paese europeo, anche se sfuggono all’ufficialità delle iscrizioni all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero). “Molti – spiega il Dossier – probabilmente lo hanno fatto ricorrendo all’irregolarità, non ottemperando, cioè, all’obbligo di legge di iscriversi all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) poiché, in tempi di emergenza sanitaria, suona forte il campanello di allarme relativo alla perdita di assistenza sanitaria che rappresenta, da sempre, il principale motivo che trattiene chi parte per l’estero a iscriversi all’Aire”. Chi se ne va, si legge nel rapporto, “ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in “riserve di qualità e competenza” a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo”.

Il trend e l’identikit di chi se ne va – La fondazione traccia poi un bilancio fatto di numeri sugli italiani che decidono di andarsene: “Da gennaio a dicembre 2021 – in ogni caso – si sono iscritti all’Aire 195.466 cittadini italiani, il -12,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente quando erano, in valore assoluto, 222.260. Le partenze per “espatrio” avvenute lungo il corso del 2021 sono state 83.781, la cifra più bassa rilevata dal 2014, quando erano più di 94 mila”. “In realtà – spiegano gli estensori del Rapporto -, il trend di continua crescita si è fermato già lo scorso anno, quando comunque le partenze non sono scese al di sotto delle 109 mila unità. Si è trattato, quindi, di una frenata dolce, diventata però brusca nei dodici mesi successivi”. “Quello che si pensava potesse accadere alla mobilità italiana durante il 2020 – continua il Rapporto – è avvenuto, invece, nel corso del 2021: la pandemia, cioè, ha impattato sul numero degli spostamenti dei nostri connazionali, riducendoli drasticamente e trasformando, ancora una volta, le loro caratteristiche. Rispetto al 2021 risultano 25.747 iscrizioni in meno, una contrazione, in un anno, del -23,5% che diventa -36,0% dal 2020. Il decremento ha interessato, indistintamente, maschi (-23,0%) e femmine (-24,0%), rispettivamente, in valore assoluto, oltre 47 mila e quasi 38 mila”. “L’identikit che è possibile ricavare dai dati complessivi indica, però, che chi è partito per espatrio da gennaio a dicembre 2021 è prevalentemente maschio (il 54,7% del totale), giovane tra i 18 e i 34 anni (41,6%) o giovane adulto (23,9% tra i 35 e i 49 anni), celibe/nubile (66,8%). I minori scendono al 19,5%. I coniugati si attestano al 28,1%”. “Nel generale decremento, i dati che appaiono in modo più evidente riguardano quelli che, da diversi anni, sono i protagonisti indiscussi della recente mobilità dall’Italia, ovvero i giovani tra i 18 e i 34 anni diminuiti, in valore assoluto, di 12 mila unità circa e, in termini percentuali, del -25,6%: nell’ultimo anno l’emergenza sanitaria e le conseguenze da questa derivate hanno intaccato il cuore delle partenze italiane”.

IL DISOBBEDIENTE

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