“Se guardo alla velocità a cui viaggiano gli altri Paesi, nel settore hi-tech, come anche sui diritti, l’Italia mi sembra lenta e tradizionalista: è rimasta indietro”. Christian Palmiero è nato a Gaeta: molte spiagge, piccolo borgo, vita tranquilla, turisti d’estate. A 18 anni si iscrive al Politecnico di Torino per studiare Ingegneria informatica. È tra le università più prestigiose per i suoi studi e la sceglie in larga parte per questo: “Sono una persona ambiziosa – ammette – guardo ai gradini più alti delle classifiche. A Torino ho trovato un ambiente amichevole e una qualità della didattica altissima: mette nelle condizioni di affrontare tutte le sfide future”. Eppure, già in magistrale cerca la sua strada altrove e vince una borsa di studio per doppia laurea franco-italiana tra le università di Sophia Antipolis, in Costa Azzurra, e il Politecnico di Torino. “Le lezioni italiane – spiega Christian – erano un gradino sopra, ma l’ambiente francese era più dinamico e la ricerca sperimentale più valorizzata che in Italia”.

A guidarlo nelle scelte è soprattutto l’opportunità di crescita. Volendo lavorare sui sistemi informatici embedded, cioè quei sistemi che contengono componenti elettronici integrati, cerca un posto in cui lo studio può essere un trampolino di lancio per la carriera. “Sophia Antipolis mi offriva opportunità importanti, ma ero giovane e il contesto della città mi stava stretto”. Palmiero, cresciuto a basket e fantasie da Silicon Valley, punta agli Usa: “Le più grandi rivoluzioni nel mio settore sono nate lì e volevo entrare in uno dei colossi americani di microchip. Ma le aziende – spiega – non aprono facilmente ai neolaureati europei, principalmente per una questione di visti”. Ad accoglierlo, nel 2017, è la Columbia University di New York, con un progetto su nuove architetture per i sistemi di sicurezza dei computer. “Furono i sei mesi più produttivi della mia vita – racconta – perché ero felice di avere realizzato il mio sogno americano. Il gruppo di lavoro era preparato, New York era magica e io ero pronto a inserirmi in qualunque contesto”.

Nella Grande mela, Palmiero si nutre di relazioni multietniche, ma ha anche il primo impatto con i tanti italiani costretti a emigrare per ragioni di lavoro: “Nel mio team di ricerca alla Columbia eravamo all’incirca venti, quasi la metà era italiana”. Finita la tesi, a 24 anni, Christian manda il curriculum ovunque. Fa un tentativo anche a Torino ma non va in porto: “Ho provato per avere un’idea di come sarebbe stato rimanere in Italia. Mi accorsi che lo stipendio proposto dagli altri Paesi era superiore a quello italiano di circa il 30%. Mi stupì inoltre ricevere domande molto personali al colloquio psico-attitudinale, decisi di chiudere lì la cosa”. Secondo gli ultimi dati Ocse, nel 2021 gli stipendi italiani annuali hanno ripreso timidamente a crescere, ma la situazione rimane tra le più stagnanti, con un incremento dello 0,3% in 30 anni.

Palmiero prova a farsi reclutare altrove, e sceglie una multinazionale con una piccola sede a Cork, in Irlanda, dove rimane dal 2018 al 2021. “Quando ho iniziato, l’ufficio era nuovo. I dipendenti sono passati da 80 a 300 in tre anni e c’è stato un grande investimento sui giovani. Mi hanno proposto un salario che per loro era la base ma per me era molto favorevole”. Anche in quel caso, si guarda intorno e vede tanti connazionali: “Circa il 25% dei dipendenti era italiano. Lavoravo a microchip per auto a guida autonoma, professionalmente è l’azienda in cui mi sono formato”. Tre anni però destinati a finire a causa del clima ostile della città. Oggi Palmiero lavora a Valencia, in Spagna. L’ha scelta per il lavoro, il clima, i diritti. Due di questi tre fattori, per la sua esperienza, mancano in Italia. “Volevo spostarmi in un Paese mediterraneo, ma l’Italia non offre opportunità lavorative nel mio campo: ho optato per Valencia, accettando un compromesso salariale. Qui ho trovato un buon equilibrio” – spiega. A preoccuparlo adesso non è tanto la crisi dei microchip che impatta il suo settore – di cui dice “comincio a sentirne i primi effetti ma sono lievi” – è piuttosto la sua compagna, italiana e medico, con cui vuole costruire un futuro: “È possibile che mi raggiunga in Spagna: l’Italia va a una velocità troppo lenta rispetto al resto d’Europa. All’estero mi sono abituato a paesi progressisti”. La Spagna, primo Paese a riconoscere il congedo parentale equivalente, ne ha dato prova anche nei giorni scorsi approvando una legge sulla salute sessuale. Sarà consentito l’aborto dai 16 anni senza il consenso dei genitori, e garantito il congedo mestruale retribuito in caso di ragioni mediche. Ma non è solo questo: “Il salario minimo per esempio qui esiste dallo scorso febbraio. In Italia – spiega – ancora è motivo di contesa politica. L’Italia è troppo tradizionalista, immobile in molti casi”.

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