La crisi ambientale al centro, il mancato rispetto dei diritti umani intorno. La Cop27 di Sharm el-Sheikh, come prevedibile, fa notizia non solo per gli oltre 100 leader mondiali riuniti per cercare di trovare accordi sulla questione climatica. “Lo spazio per la società civile quest’anno è estremamente limitato. Sarà molto difficile per gli attivisti far sentire la propria voce”, aveva detto prima dell’appuntamento egiziano l’attivista svedese Greta Thunberg, che infatti non si recherà a Sharm el-Sheikh, definita “un paradiso turistico in un paese che viola molti diritti umani fondamentali”. Nonostante però le grandi difficoltà, un gran numero di attivisti e manifestanti per i diritti umani si è mobilitato in occasione del summit, intenzionati ad utilizzare questa opportunità per mostrare al mondo gli abusi del regime di Abdel Fattah al-Sisi, che aveva rimosso l’ex presidente Mohamed Morsi nel 2013 con un colpo di stato prima di diventare egli stesso presidente l’anno successivo, governando in un clima di terrore e repressione.

La presidenza egiziana della Cop27 ha affermato che le manifestazioni saranno consentite in “aree designate” a Sharm el-Sheikh durante il vertice dei leader mondiali, ma gli attivisti hanno espresso preoccupazione per il sistema di controllo serrato e di sorveglianza messo in atto dalle forze dell’ordine. Intanto uno degli attivisti più importanti dell’Egitto, il cittadino egiziano-britannico Alaa Abd al-Fattah, arrestato durante la repressione del 2019 e in sciopero della fame da più di 200 giorni, ha reso noto che durante l’apertura della Cop27 farà anche uno sciopero della sete per riportare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla questione dei diritti umani in Egitto sotto il regime del presidente al-Sisi. Alaa Abd al-Fattah ha infatti spiegato in una lettera la sua decisione “di intensificare, al momento opportuno, la mia lotta per la mia libertà e la libertà di tutti i prigionieri”. Attualmente sono circa 60mila i dissidenti politici nelle carceri egiziane, secondo un report di Human Rights Watch, che accusa inoltre il governo egiziano di “ridurre gravemente la capacità dei gruppi ambientalisti di svolgere le loro attività in modo indipendente”. L’attivista canadese Naomi Klein, co-direttrice del Centre for Climate Justice dell’Università della Columbia Britannica, ha commentato in un articolo sul The Intercept che “se il vertice dell’anno scorso a Glasgow riguardava ‘bla, bla, bla’, il significato di questo, anche prima che inizi, è decisamente più inquietante”. “Questo vertice parla di sangue, sangue, sangue (blood, blood, blood). Il sangue dei circa mille manifestanti massacrati dalle forze egiziane per garantire il potere al suo attuale sovrano”, ha spiegato Klein, riferendosi al Massacro di Rabaa del 2013.

Secondo quanto riporta il quotidiano The New Arab, che cita Mohamed Lotfy, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), nelle ultime due settimane le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato più di 100 persone che volevano organizzare manifestazioni nella giornata di venerdì 11 novembre, con l’accusa di “minare alla sicurezza dello stato” e di “diffusione di false notizie”. Secondo inoltre quanto riporta il quotidiano panarabo Al Jazeera sono stati intensificati i controlli in loco in cui agenti di sicurezza in borghese controllano i telefoni cellulari dei pedoni e gli account dei loro social media. Secondo invece quanto riporta Associated Press, molti lavoratori del turismo sono stati rimandati a casa per la Cop27 e ai residenti locali è stato impedito di parlare liberamente con i visitatori. Intanto il 30 ottobre un attivista indiano, Ajit Rajagopal, è stato detenuto durante la notte al Cairo dopo essere partito in solitaria per una marcia di protesta per la giustizia climatica in cui mirava a percorrere diverse centinaia di chilometri per raggiungere Sharm el-Sheikh. Rajagopal ha spiegato poi a Reuters di essere stato interrogato per diverse ore su ciò che stava facendo in Egitto e sulle motivazioni delle sue azioni.

In questo clima di repressione del dissenso politico e della libertà di manifestazione nel paese del Medio Oriente, 56 membri del Congresso statunitense hanno scritto una lettera al presidente Joe Biden esortandolo a ritenere l’Egitto responsabile dei suoi scarsi risultati in materia di diritti umani e di prendere una posizione chiara in merito alla questione dei prigionieri politici. “Esortiamo l’amministrazione a coinvolgere il governo egiziano per consentire la piena partecipazione della società civile durante il vertice di quest’anno”, si legge nella lettera firmata, tra gli altri, da Chris Murphy e David Cicilline, entrambi presidenti delle sottocommissioni per gli affari esteri degli Stati Uniti. “La conferenza Cop27 rappresenta non solo un’opportunità per il mondo di riunirsi per affrontare il cambiamento climatico attraverso un’azione collettiva, ma comporta anche la responsabilità di garantire che gli impegni e le politiche siano inclusivi di tutti i membri della società”, concludono i membri del parlamento americano. In un’altra lettera, inviata alle Nazioni Unite, al Consiglio Europeo, e ai capi di Stato in Francia, Regno Unito e Stati Uniti, 15 premi Nobel esortano i leader “a sfruttare ogni opportunità” durante la conferenza per “portare sul tavolo le voci dei detenuti” politici. Tra i firmatari anche l’autore turco Orhan Pamuk, la poetessa americana Louise Gluck, il romanziere tanzaniano Abdulrazak Gurnah e l’autore britannico Kazuo Ishiguro che chiedono ai leader mondiali dell’Occidente di “sfruttare l’opportunità che ora è nelle vostre mani per aiutare i più vulnerabili, non solo per l’innalzamento del mare, ma anche per coloro che sono imprigionati e dimenticati, in particolare nel paese stesso che ha il privilegio di ospitarvi”.

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