“Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare i negoziati” sono le parole di Papa Francesco ribadite in ogni occasione e che vengono anteposte anche alla grande manifestazione del 5 novembre, un auspicio da cui è impossibile dissentire, ma che pone un’implicita logica ed inconfutabile premessa: il cessate il fuoco è in primis nella disponibilità dell’invasore che il fuoco lo riversa dal 24 febbraio sulla testa del popolo ucraino.

Sugli antefatti dell’invasione tanto brutale quanto a questo punto fallimentare che hanno determinato la scelta dissennata di Vladimir Putin, ci si può interrogare e dibattere all’infinito, ma mi sembra impossibile negare che dopo l’annessione illegittima della Crimea, dal 24 febbraio in poi si sia assistito ad una progressione inesorabile della violazione da parte della Federazione Russa dei più basilari principi del diritto internazionale come, e più ancora, dei diritti umani. Un’escalation che dopo Bucha e la sconcertante macchina del negazionismo, purtroppo ben rappresentata anche in Italia, negli ultimi mesi ha registrato i referendum farsa nel Donbass in un clima apertamente intimidatorio.

Le deportazioni di adulti e bambini dai territori occupati, le decine di camere della tortura e le centinaia di fosse comuni, coperte dai rifiuti come ad Izium, le furiose rappresaglie sui civili a Kiev in risposta all’attacco al ponte simbolo in Crimea, la distruzione delle risorse energetiche ed idriche come arma letale contro la popolazione ucraina, il ricatto permanente su gas e grano nei confronti dell’Europa e del mondo.

Ogni giorno da Mosca partono in perfetta alternanza minacce e pseudo aperture, dall’accordo sul grano interrotto e poi ripreso, ma riservandosi di sospenderlo in qualsiasi momento “a causa di violazioni ucraine” all’uso del nucleare ribadito in occasione di una imponete esercitazione militare su “un attacco nucleare massiccio”, ma “solo se attaccati dalla Nato”. Difficile valutare quanto il martellamento di minacce più o meno roboanti sia calibrato ad uso interno per cercare di compattare e motivare un paese sempre meno attratto dalla guerra, come ha rivelato il flop della “mobilitazione parziale” oppure per intimidire l’Occidente, l’Europa e più ancora l’Italia da sempre anello debole della catena.

Putin è ben consapevole di avere amici consolidati in Italia, due dei quali al governo parzialmente “controllati” e controllabili dal presidente del Consiglio e solo temporaneamente allineati sulla politica estera all’Europa. Così come confida sulla paura dell’arma atomica che condiziona l’opinione di molti cittadini europei e di moltissimi italiani. Sulla paura oltre che sull’ “effetto boomerang” delle sanzioni fanno leva non solo B. e Salvini.

Infatti all’opposizione Putin può contare anche sul pacifismo di Giuseppe Conte che ha ripetutamente accusato di “furia bellicista” Enrico Letta e che ritiene esattamente come loro di dover disarmare il popolo ucraino e di mettere all’angolo Volodymyr Zelensky per aprire i negoziati con lo Zar che secondo il diffuso credo pacifista nostrano, a differenza del guerrafondaio Joe Biden, sarebbe “sensibile” al grido di pace di Papa Francesco. E d’altronde l’amico B. destinatario di “lettere dolcissime” ha fatto per Bruno Vespa una mirabile sintesi pacifista abbastanza in voga: “Solo se ad un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti”, fatta salva, bontà sua, la promessa di un impegno europeo per la ricostruzione, “Zelensky forse potrebbe accettare di sedersi ad un tavolo per una trattativa”. Con Putin che secondo B. “è uomo di pace”, mentre Zelensky andava destituito e sostituito con le “brave persone” che avrebbe insediato Mosca.

A chi si appresta a manifestare e che rispetto profondamente se non si presta ad una ingiusta ed ingannevole equidistanza vorrei solo ricordare che la pace non dovrebbe tradursi nella pretesa che il più debole si arrenda al più forte solo perché incute paura. La paura non solo è cattiva consigliera è anche una specialità molto putiniana ampiamente sperimentata nei “crimini di pace” contro oppositori politici, giornalisti, oligarchi “infedeli” avvelenati in modo subdolo e sadico con polonio o similari anche per incutere terrore in chi avesse voluto seguire il loro esempio. Con l’obiettivo di rimanere impunito ed infliggere una morte lenta e crudele.

Ma non è mostrandosi concilianti facendosi carico “dell’umiliazione di Putin” che si può pensare di essere al riparo delle sue minacce, di “stare in pace” nelle nostre case, possibilmente riscaldate una volta archiviate le sanzioni, e fare finta che non sia successo niente. Come ha potuto sperimentare di persona l’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky, perseguitato dal regime ed incarcerato per 10 anni, Putin rispetta e riconosce solo la forza, “ha una mentalità da gangster”, ha risolto abitualmente i suoi problemi elettorali e politici con la guerra e porsi in modo arrendevole con lui “è un errore drammatico, cercherà di finire la sua vittima”.

Dunque prendersela con Zelensky e considerare la resistenza ucraina come il problema di cui liberarsi in nome della difesa di una pace astratta fondata sull’ingiustizia e sulla convenienza contingente non è solo il tradimento dei nostri valori, ma non ci mette nemmeno al riparo dalle sue minacce.

Concordo con Stefano Feltri quando ha scritto all’indomani della rappresaglia sui civili a Kiev del 10 ottobre scorso che una generica richiesta di pace basata sull’equidistanza “non vuole dire niente perché nessun paese occidentale si sta opponendo a negoziati e l’Ucraina non ha modo di far cessare il fuoco perché è la vittima e non l’invasore. L’unico beneficiario delle piazze contro la guerra sarà Putin”. Per evitarlo basterebbe protestare o manifestare nel luogo giusto e cioè davanti all’ambasciata russa.

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