“E’ in gioco la democrazia!”. Il grido d’allarme lanciato dal presidente Usa, Joe Biden, alla vigilia delle elezioni di midterm di martedì 8 novembre dà un doppio segnale: l’emergenza democratica dopo la traumatica conclusione della presidenza Trump non è stata superata; e lui e i democratici avvertono il rischio di una disfatta. Con il Congresso nelle mani dell’opposizione, la seconda metà del suo mandato sarebbe un calvario di mediazioni e concessioni.

Donald Trump, invece, va verso l’annuncio della sua candidatura a Usa 2024, nonostante il peso delle inchieste politiche e giudiziarie sul suo operato; e progetta trappole per Biden e i democratici: i repubblicani, ad esempio, dovranno porre un tetto alla spesa pubblica. Il magnate ex presidente mette alla gogna il capogruppo al Senato Mitch McConnell, che non lo segue su questa strada: “Sotto impeachment”, intima ai suoi fedelissimi, anche se non esiste una procedura per farlo.

Per prendere il controllo del Congresso, ai repubblicani basta poco: martedì prossimo, si eleggono tutti i 435 deputati – i democratici ne hanno 220 e i repubblicani 212, con tre posti vacanti – e 35 dei 100 senatori – sono 50 pari: la maggioranza democratica posa sul voto del presidente del Senato che è il vice-presidente degli Stati Uniti, Kamala Harris. Ci sono pure da rinnovare 39 governatori, in 36 Stati e tre territori; e ci sono numerose altre elezioni statali e locali e alcuni referendum.

Parlando in tv all’America all’ora di massimo ascolto, Biden dice che la democrazia è sotto attacco e che non c’è posto per la violenza politica: l’Unione è “a una svolta”, il voto di Midterm “preserverà o metterà a rischio la democrazia” e la sicurezza del Paese. Il presidente denuncia la caterva di candidati repubblicani, circa duecento, che rifiutano d’accettare il risultato delle elezioni e perpetuano la ‘post verità’ trumpiana delle presidenziali 2020 rubate; e che preparano ricorsi e contestazioni per presunti brogli, puntando a seminare dubbi negli elettori con la scusa di controllare la regolarità delle operazioni di voto.

Il discorso del presidente prende le mosse dalle panzane messe in giro dai complottisti di estrema destra, che hanno trovato una spalla sconsiderata in Elon Musk, che mostra di volere trasformare Twitter in uno strumento di cospirazione. L’aggressione subita la scorsa settimana in casa propria da Paul Pelosi, 82 anni, marito della speaker della Camera Nancy Pelosi, pur’essa 82 anni, ad opera di un uomo di 42 anni, David DePape, è stata derubricata da Steve Bannon, il guru della campagna di Trump nel 2016, e dai suoi sodali della ‘alt right’ a una vicenda di gelosia gay.

DePape, che ha provocato al Pelosi una frattura al cranio e altre ferite e che voleva rapire la speaker che non era in casa, è accusato di aggressione e tentato rapimento, oltre che di vari altri reati minori.

L’episodio sembra riconducibile al clima d’odio e d’intolleranza della politica statunitense, che resta fortemente polarizzato. E la polizia ha escluso che aggredito e aggressore si conoscessero. Ma questo non ha impedito ai complottisti del web di scatenarsi in ricostruzioni fantasiose e congetture per gettare fango sulla Pelosi, che è la terza carica Usa, dopo il presidente e la vice-presidente. E Musk ha rilanciato le loro illazioni, salvo poi ‘killare’ i suoi tweet.

Stando ai sondaggi e a guru della politica, l’incertezza sui rapporti di forza al Senato dopo Midterm è grande: l’equilibrio di partenza è perfetto e i repubblicani con un seggio in più diventerebbero maggioranza, ma i democratici possono conquistare un seggio in Pennsylvania e forse pure un altro. Invece, la Camera inclina verso i repubblicani, che devono strappare ai democratici cinque seggi e potrebbero farlo grazie a una ridefinizione dei collegi a loro vantaggio, negli Stati da loro governati.

Con il suo discorso, Biden cercava di dare la scossa agli elettori, specie democratici. I repubblicani stanno facendo esattamente l’opposto: calmano il gioco, per ridurre l’affluenza alle urne, specie delle minoranze nera e ispanica (prevalentemente democratiche). Un esempio: dopo la sentenza della Corte Suprema che leva la tutela federale al diritto di aborto, molti candidati repubblicani, visto l’impatto del verdetto sull’opinione pubblica, hanno messo la sordina alle loro convinzioni anti-abortiste.

Biden è stato duro con chi pensa di non andare a votare la prossima settimana – ma oltre un decimo dei potenziali elettori ha già votato per corrispondenza o nei seggi dell’ ‘early voting’ -: “Non possiamo più considerare la democrazia garantita… Il futuro del Paese è la posta in palio…”. C’è la possibilità che il rifiuto di riconoscere i risultati delle urne sfoci in episodi di violenza: ci sono repubblicani, come la candidata governatrice dell’Arizona Kari Lake, che sono disposti ad accettare solo la vittoria.

L’appello del presidente viene in un momento in cui la determinazione dei democratici di votare è nettamente più bassa che nel 2018, quando il 44% degli elettori registrati democratici volevano andare alle urne per ‘castigare’ Trump. Adesso solo il 24% vuole farlo per ‘sostenere’ Biden. C’è più entusiasmo fra i repubblicani, specie in quelli che si riconoscono nei candidati ‘trumpiani’, che si sono imposti in gran numero alle primarie: li spinge la possibilità di conquistare la maggioranza alla Camera e la speranza di farcela anche al Senato, dove la partita è più incerta.

Sul clima del voto incide l’attesa del verdetto della Corte Suprema, che deve decidere se gli atenei dell’Unione possono continuare a considerare la razza un fattore di ammissione: sotto esame, cioè, sono le cosiddette ‘affirmative actions’, che tendono a favorire l’accesso alle università di esponenti delle minoranze, specie neri e latini. Se la Corte Suprema dovesse bocciarle come illegali, il numero di studenti neri e latini nelle Università diminuirà. Il caso riporta nella campagna il tema dei diritti, che era già stato sollevato in estate dalla sentenza della Corte Suprema che ha tolto la tutela federale all’aborto.

I sostenitori delle ‘affirmative actions’, che esistono da 60 anni e che in passato hanno già superato il vaglio della Corte Suprema, sostengono che i programmi hanno garantito a persone sfavorite e alle donne di avere un accesso all’educazione superiore che sarebbe stato altrimenti loro negato. Ma chi ha assistito alla prima udienza lunedì 31 ottobre – cinque ore per presentare le varie posizioni – ne ha ricavato l’impressione che l’attuale Corte, fortemente conservatrice, sia scettica sulla validità delle ‘affirmative actions’ e sia incline a bloccarle o a limitarle. Diversi giudici le hanno paragonate a pratiche discriminatorie del passato, come la segregazione e la schiavitù.

In un Paese alla ricerca di facce nuove per le presidenziali 2024, il ruolo del presidente Joe Biden e del suo predecessore Donald Trump è stato piuttosto limitato nella campagna. Biden sente il peso dell’età – le frequenti gaffes ne sono un indice -; Trump non gli è di molto più giovane ed è sotto scacco per le vertenze sulla sommossa da lui sobillata il 6 gennaio 2021, per i documenti segreti sottratti alla Casa Bianca, per vicende elettorali in Georgia e fiscali e finanziarie a New York. Dopo avere aiutato molti suoi sostenitori a vincere le primarie repubblicane, il magnate è stato meno presente (anche perché alcuni candidati ne avvertono il sostegno come ingombrante).

Barack Obama, il cui appoggio è sempre ambito dai candidati democratici, sarà con Biden sabato 5 a Filadelfia, in Pennsylvania, uno degli Stati probabilmente decisivi. Il comizio con Obama e Biden sarà a sostegno dei candidati a governatore Josh Shapiro e al Senato John Fetterman. Obama è già sceso in campo giorni fa in Georgia – altro Stato chiave -, per esortare i cittadini ad andare a votare e per difendere le politiche di Biden, le cui scelte, specie economiche, non convincono gli elettori.

E, nella stretta finale, scendono in campo pure i Clinton: Hillary fa campagna con Kamala Harris, per la governatrice uscente dello Stato di New York Kathy Hochul, sorprendentemente in difficoltà, negli ultimi sondaggi, contro un rivale ‘trumpiano’, Lee Zeldin; Bill, invece, spende il suo prestigio, un po’ residuale, per due candidati alla Camera della Valle dell’Hudson, nello Stato di New York, Josh Riley e Pat Ryan.

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