Una nuova gaffe del presidente Joe Biden ha provocato la dura reazione dell’Iran, facendo aumentare il livello di tensione tra i due Paesi già cresciuto dopo lo scoppio delle proteste per la morte di Mahsa Amini, la 22enne che ha perso la vita un mese e mezzo fa dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché indossava male il velo. Parlando durante un comizio per la campagna elettorale del democratico Mike Levin in California, il presidente americano ha dichiarato agli spettatori: “Non preoccupatevi, libereremo l’Iran“. Solo più tardi si è corretto tornando sul tema: “Si libereranno da soli piuttosto presto”. Ma questo non è bastato a impedire la reazione di Teheran, con il presidente Ebrahim Raisi che ha affermato: “Forse l’ha detto a causa di mancanza di concentrazione. Ha detto che puntano a liberare l’Iran. Signor presidente, l’Iran è stato liberato 43 anni fa ed è determinato a non diventare di nuovo il suo prigioniero. Non diventeremo mai una vacca da mungere”, ha detto parlando davanti all’ex ambasciata degli Stati Uniti in occasione dell’anniversario della sua occupazione da parte degli studenti iraniani il 4 novembre del 1979.

Il presidente Usa ha rilasciato le dichiarazioni mentre i sostenitori tenevano in alto i telefoni cellulari su cui si leggeva il messaggio Free Iran. L’amministrazione Biden ha dovuto affrontare critiche crescenti da parte di attivisti irano-americani che chiedono alla Casa Bianca di abbandonare gli sforzi per arrivare a un nuovo accordo sul nucleare a causa delle proteste. Il mese scorso l’amministrazione ha annunciato sanzioni contro funzionari iraniani per il trattamento brutale dei manifestanti.

Lo scontro diplomatico ha costretto il Consiglio per la sicurezza nazionale americana a intervenire, come già successo in passato con altre dichiarazioni controverse del presidente, per cercare di abbassare la tensione. “Biden stava esprimendo la sua solidarietà al popolo iraniano e sottolineando che gli Usa sono al fianco dei manifestanti pacifici”, ha spiegato il portavoce John Kirby in un briefing virtuale con la stampa. “Sta al popolo iraniano determinare il proprio futuro, non è cambiato nulla da questo punto di vista”, ha sottolineato il funzionario.

I leader del G7, comunque, sottolineano nuovamente la propria vicinanza ai manifestanti e hanno espresso “sostegno all’aspirazione fondamentale del popolo iraniano per un futuro in cui la sicurezza umana e i suoi diritti umani universali siano rispettati e protetti”, condanna “la morte violenta della giovane iraniana Jina Mahsa Amini” e “l’uso brutale e sproporzionato della forza contro manifestanti pacifici e bambini”. Condanna viene espressa per “le continue attività destabilizzanti dell’Iran in Medio Oriente”, incluse le “attività con missili balistici e da crociera, nonché veicoli aerei senza pilota, e trasferimenti di tali armi avanzate ad attori statali e non statali”. Il G7 inoltre “ribadisce la chiara determinazione che l’Iran non debba mai sviluppare un’arma nucleare. Il G7 continuerà a lavorare insieme e con altri partner internazionali per affrontare l’escalation nucleare dell’Iran e l’insufficiente cooperazione con l’Aiea in merito al suo accordo di salvaguardia del Trattato di non proliferazione. Rimaniamo profondamente preoccupati per l’espansione senza sosta del programma nucleare iraniano, che non ha alcuna giustificazione civile credibile”.

La repressione continua però senza sosta. Secondo quanto riporta Amnesty international, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti nella provincia sud-orientale del Sistan-Beluchistan uccidendo almeno 10 persone, tra cui alcuni bambini. Le proteste sono scoppiate dopo la preghiera del venerdì nella capitale provinciale di Zahedan, ma anche in altre aree della provincia, inclusa la città di Khash a sud. Amnesty ha accusato le forze di sicurezza di aver sparato “proiettili veri” dai tetti degli edifici istituzionali di Khash.

Ma il pugno duro del regime non colpisce solo i manifestanti. Dopo i domiciliari imposti ai genitori e al fratello di Mahsa Amini, arriva anche la notizia che le forze di sicurezza hanno arrestato una giornalista in seguito alla pubblicazione di un’intervista con il padre della 22enne. Lo rende noto la ong con sede in Norvegia Hengaw, secondo cui Nazila Maroufian, reporter del sito Ruydad 24, è stata arrestata domenica ed è stata trasferita nel carcere di Evin, la famigerata prigione dei dissidenti politici a Teheran dove si trovano anche altre due giornaliste che hanno scritto i primi articoli riguardo al caso della ragazza, Niloufar Hamedi del quotidiano Shargh e Elahe Mohammadi del giornale Ham Mihan. La giornalista aveva pubblicato un articolo intitolato Padre di Mahsa Amini: “Mentono”, in cui la famiglia della ragazza sosteneva che la figlia 22enne sarebbe morta per le percosse alla testa ricevute in custodia e non a causa di complicazioni per una malattia di cui soffriva, come hanno invece sostenuto le autorità. Maroufian ha dichiarato che l’uscita dell’intervista è stata ritardata a causa di pressioni e che dopo la pubblicazione dell’articolo lei e la sua famiglia hanno ricevuto minacce di morte.

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