Caro Gennaro,

mi congratulo per la nomina al prestigioso Ministero. E con una punta d’orgoglio mi piace ricordare quando abbiamo condiviso lo stesso sogno editoriale. Erano i tempi della gallina d’oro dell’Indipendente, il direttore Vittorio Feltri aprì la redazione napoletana e io e te ci trovammo vicini di scrivania. Io mi occupavo di cultura e spettacoli, tu di grandi inchieste.

Il giornale chiuse e ognuno prese la propria strada. La tua ti ha portato ad maiora. E mi congratulo per la tua scelta: la tua prima visita ufficiale non poteva che essere Napoli, prima alla Fondazione Benedetto Croce e poi al Mann, il Museo Archeologico più importante al mondo, due luoghi simbolo della cultura.

Ti giro uno stralcio di lettera che in forma privata ho inviato al direttore di un quotidiano locale: preferiresti pagare, diciamo 5 euro (cifra simbolica) e essere accolto con un sorriso o gratis ma a pesci in faccia? E’ doverosa una premessa sul significato più profondo di cultura gratis et amor dei. La cultura non paga, appaga. Ma non legittima la malacreanza.

Al Festival Spinacorona se la suonano e se la cantano fra di loro. Il Festival nacque da un’idea del maestro Campanella e dell’allora assessore alla Cultura (e filosofo) Nino Daniele. Fu quest’ultimo a trovargli il nome ispirato all’antica fontana che simboleggiava la sirena partenopea. Passeggiate musicali tra luoghi segreti, chiese chiuse al pubblico, alcune per eterni restauri, altre per mancanza di personale.

Il Refettorio del Convento di Santa Maria Regina Coeli è un gioiellino secentesco ancora abitato dalle suorine che, con piglio imprenditoriale, per mancanze di vocazioni vogliano trasformare una parte in struttura ricettiva. Proprio una di loro, suora Maria Grazia, mi informa che la capienza del Refettorio è di 150 posti. Ma Spinacorona ne fa entrare solo 99, mi tocca ascoltarlo dal chiostro insieme a un gruppo di turisti delusi dell’esclusione. Durata del concerto: 45 minuti. Mi chiedo se ce n’è un altro a seguire. Macché. La bellezza è anche condivisione.

Altra location, altra “spina”: la Cappella del Real Monte Manso di Scala, rimasta chiusa per quasi mezzo secolo. Bisogna salire al terzo piano del principesco palazzo di Via Nilo per ammirare una tale meraviglia, sconosciuta ai più. Un vero peccato per quelli che sono rimasti fuori, fra cui il collega della Rai, Marco.

Li chiameremo Miss Rigidity, Mister Allocco e Master Sprucidezza. Miss Rigidity ha chiuso i battenti alle 7,28. Una tale rigidità degna solo di una Prima al San Carlo. Accampando scuse della scarsa capienza. Mister Allocco manda un messaggio a una certa Livia Grimaldi che si è promossa segretaria artistica. Risposta testuale: lasciateli fuori.

Ora, visto che il concerto durava 45 minuti, o mi aggiungi qualche sedia in più o mi fai una seconda performance, utilizzando al meglio i soldi pubblici. Alla eclatante Prima wagneriana al San Carlo di Tristano e Isotta l’orchestra ha suonato per 3 ore e 40 minuti. E non sono mica rimasti senza fiato.

Mi rivolgo quindi al Master, all’anagrafe Giovanni Oliva, direttore artistico del Festival, giunto alla sesta edizione; lui con l’arroganza del ‘qui comando solo io’, passa al contrattacco, volano bisticci di parole. E alle note della violinista giapponese Kyoto Yonemoto sul Capriccio di Paganini sostituisce i suoi “capricci”. E solo tra pour parler e pinzillacchere ne accenno all’assessorissima regionale alla Formazione Professionale Armida Filippelli.

Pianocity, successo strepitoso di pubblico e di critica, 115 concerti spalmati in location altrettanto strepitose e 150 pianisti provenienti da tutto il mondo, è tutta n’ata storia. Continuiamo a investire sulla cultura ma i soldi pubblici, dunque anche un po’ miei, un po’ vostri, diamoli a chi se ne fa buon uso.

Ps. Ci vediamo alla Prima del San Carlo, in scena il Don Carlo (sembrerebbe un calembour). A un uomo di intelletto/chic come te non saranno di certo sfuggiti i ricchi cartelloni del Massimo napoletano e del Teatro Stabile Mercadante. Pensa che ad amici di Milano che volevano venire a vedere Ferito a Morte (regia Roberto D’Andò e massima interpretazione di Andrea Renzi nel ruolo di Dudù/Raffaele La Capria) ho dovuto rispondere: “E’ tutto esaurito. Aspettate che venga al Piccolo di Milano”.

Con amicizia verace,
J.

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