La banca centrale statunitense ha alzato i tassi di 75 punti base (o,75%) effettuando il quarto rialzo dallo scorso marzo e portando il costo del denaro tra il 3,75 e il 4%. Si tratta del livello più alto dal 2008. La decisione arriva a sei giorni dalle elezioni di medio termine. La mossa della Federal Reserve era attesa dai mercati e ha l’intento di contrastare l’inflazione, salita negli Usa all’8,2%, il valore più elevato da 40 anni. Potrebbe non essere l’ultimo rialzo dei tassi del 2022, un ulteriore intervento di altro mezzo punto è atteso entro fine anno ma ora si scommette su un intervento di “solo” mezzo punto. Nel suo comunicato la Fed ha infatti lasciato intendere che la stretta monetaria potrebbe poi iniziare ad allentarsi. “Arriverà un momento in cui sarà opportuno rallentare i rialzi ma “c’è ancora notevole incertezza su quale sarà il livello dei tassi” ha affermato il governatore della Fed Jerome Powell nella conferenza stampa seguita alla decisone. “Abbiamo bisogno di vedere l’inflazione calare in modo significativo”, afferma Powell, sottolineando che un rallentamento della velocità dei rialzi si sta avvicinando, “potrebbe essere alla prossima riunione o a quella dopo”. L’annuncio ha momentaneamente galvanizzato i mercati.

“Siamo fortemente determinati a riportare l’inflazione al 2% e abbiamo gli strumenti per farlo”, ha detto Powell, sottolineando che la stabilità dei prezzi sia il fondamento dell’economia. “L’economia americana ha rallentato significativamente dallo scorso anno e gli indicatori puntano a una crescita modesta nel quarto trimestre” ha continuato il governatore. “Sono contento che ci siamo mossi così velocemente” nel rialzare i tassi e “non credo che abbiamo irrigidito troppo” la politica monetaria”, anche perché sarebbe “molto difficile sostenere che il livello attuale sia troppo alto visto che l’inflazione è ancora ben al di sopra del tasso di interesse sui fondi federali”, ha spiegato Powell.

Il valore dell’inflazione considerato ottimale dalla Fed (e dalla Banca centrale europea) è intorno al 2%. L’effetto collaterale di una politica monetaria restrittiva (rialzo dei tassi e cessazione degli acquisti di titoli) è quello di rallentare la crescita economica. Prestiti e mutui diventano più costosi così calano acquisti e investimenti. La quantità di denaro in circolazione si riduce e ci sono meno risorse per comprare azioni ed altri prodotti finanziari. Tuttavia in questo momento la corsa dei prezzi viene percepita dalla Fed come il problema da affrontare prioritariamente. Un altro aspetto che sta preoccupando molti osservatori sono le ricadute di queste politiche sui paesi emergenti. Tassi più alti hanno l’effetto di “risucchiare” verso gli Usa i dollari che si trovano all’estero. Per evitare questo fenomeno i paesi emergenti che spesso di indebitano in dollari per rendere le loro obbligazioni più appetibili sui mercati, sono a loro volta costrette ad alzare i tassi con ricadute sulle loro economie interne.

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