Era considerato, come già successo nelle passate tornate, cinque negli ultimi tre anni, un referendum sulla figura di Benjamin Netanyahu. E questa volta l’ex primo ministro e leader del Likud lo ha vinto. A scrutinio ormai concluso, il suo partito ha ottenuto ben 31 seggi sui 120 della Knesset alle ultime elezioni, con la coalizione che lo appoggia, marcatamente di destra e anti-araba, che ha ottenuto la maggioranza assoluta con 65 seggi, garantendogli la possibilità di governare per i prossimi quattro anni. Agli scranni destinati al Likud, infatti, si aggiungono i 14 ottenuti da Sionismo Religioso, il partito di estrema destra guidato da Ben Gvir che preoccupa la popolazione moderata e i palestinesi per le posizioni marcatamente anti-arabe, e quelli dei due partiti ultraortodossi Shas (12) e Torah unita nel giudaismo (8).

“Siamo vicini a un a grande vittoria”, ha esultato Netanyahu rivolgendosi alla folla dei sostenitori scesi in piazza per celebrare i risultati. “Abbiamo ottenuto un enorme voto di fiducia da parte del popolo israeliano”, ha detto promettendo “un governo nazionale stabile”, mentre i suoi sostenitori lo hanno interrotto più volte definendolo “Bibi, il re d’Israele”. Il suo Likud, come alle scorse elezioni, è risultato essere di gran lunga il partito più votato d’Israele, ma l’ultima volta l’eterogenea coalizione anti-Netanyahu, nata soprattutto per estromettere l’ex premier dall’esecutivo e costringerlo ad affrontare il processo a suo carico per corruzione e frode, era riuscita a formare un nuovo governo isolando di fatto Netanyahu. Operazione replicata anche in questa tornata elettorale ma che non ha ottenuto i risultati sperati. Il partito laico centrista Yesh Atid del premier ad interim Yair Lapid è la seconda forza in Parlamento con 24 deputati, affiancato da Unità Nazionale di Benny Gantz (12), il partito nazionalista laico Yisrael Beitenou di Avigdor Lieberman (5), il partito arabo Ràam (5) e i Laburisti (4). Il partito arabo Hadash-Tàal, fuori dai due blocchi, ha ottenuto invece 5 deputati. Fuori dal parlamento la storica formazione di sinistra Meretz e il partito arabo Balad.

A niente è servita la mossa di Lapid di aprire marcatamente alle formazioni arabe, nel tentativo di portare l’elettorato di riferimento alle urne. Una scelta strategica che, secondo il quotidiano Haaretz, ha addirittura penalizzato la coalizione moderata, con la popolazione che ha inviato un messaggio chiaro alla classe politica: no agli arabi al governo. Una tesi che trova sostegno anche nel risultato eccezionale ottenuto da Sionismo Religioso. Ben Gvir, infatti, è in prima linea nella difesa degli insediamenti coloniali illegali nella West Bank, ha più volte proposto la cacciata degli arabi che considera “traditori”, esaltato lo stragista Baruch Goldstein e, ai tempi dell’assassinio di Rabin, partecipato stabilmente alle manifestazioni per il rilascio dell’autore dello stesso. Nella Knesset c’è ora “chi auspica apertamente il ‘trasferimento’ dei cittadini arabi fuori da Israele. Quello che un tempo era al margine della società israeliana ha ottenuto legittimità dalle urne”, scrive Haaretz.

Clima ben diverso dalle scorse elezioni, quando per la prima volta anche una formazione arabo israeliana, il partito Ràam, era entrata in Parlamento. La formazione, anche in questa occasione, ha comunque superato la soglia di sbarramento. Gvir ha voluto assicurare che lavorerà “per tutti gli israeliani, anche quelli che mi odiano”. Ma i moderati sono preoccupati dalla sua aspirazione alla carica di ministro della Sicurezza Interna che controlla la polizia. Dura la reazione in Cisgiordania, dove il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammed Shtayyeh, ha definito i risultati “una dimostrazione” che i palestinesi “non hanno in Israele un partner per la pace”, aggiungendo che “i risultati delle elezioni alla Knesset sono un risultato naturale della crescita dell’estremismo e del razzismo nella società israeliana”.

Chi esulta, e non solo per la possibilità di far parte del nuovo governo, è proprio Netanyahu. Questa vittoria e il sostegno del partito di Gvir potrebbero avere serie ripercussioni anche sul processo a suo carico che potrebbe subire una netta frenata. Era stato proprio l’esponente di Sionismo Religioso a promuovere in passato la depenalizzazione per la frode e la creazione di leggi con cui sarebbe più difficile mettere sotto accusa i parlamentari. Non è escluso, quindi, che una delle prime conseguenze del cambio d’esecutivo possa essere l’avvio di procedimenti legislativi volti a sospendere il processo a carico dello storico leader del Likud.

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