A un anno e mezzo dalla fine dell’indagine “madre”, la Procura di Genova ha chiuso anche l’inchiesta “bis” sui report taroccati e la mancata manutenzione delle autostrade liguri, nata dagli accertamenti eseguiti sulla rete dopo il disastro del ponte Morandi. Verso il processo in 47 tra tecnici e dirigenti di Autostrade per l’Italia e Spea Engineering (la controllata che si occupava delle manutenzioni), la gran parte dei quali imputati anche per il crollo del 14 agosto 2018: tra loro l’ex amministratore delegato di Aspi, Giovanni Castellucci, e i suoi bracci destri alla guida della concessionaria, Paolo Berti (direttore centrale operazioni dal 2015 al 2018) e Michele Donferri Mitelli (direttore manutenzioni e investimenti dal 2016 al 2019). I pm Stefano Puppo e Walter Cotugno chiederanno il rinvio a giudizio anche per Stefano Marigliani (direttore del primo tronco autostradale di Genova dal 2016 al 2019) mentre è stata stralciata la posizione del suo successore, Mirko Nanni, per cui sarà chiesta l’archiviazione. Le due società indagate, Aspi e Spea, hanno invece chiuso con la Procura un patteggiamento che ha permesso loro di restare dal processo pagando una somma complessiva di circa un milione di euro a titolo di risarcimento del profitto del reato, ossia degli interventi omessi o ritardati.

L’indagine nasce dalla riunione di tre diversi fascicoli: quello sui falsi report su decine di viadotti autostradali liguri, quello sulle barriere fonoassorbenti pericolose e quello sulle mancate ispezioni nelle gallerie, aperto dopo il crollo della volta della galleria Berté sull’A26 il 30 dicembre del 2019. Quest’ultimo è il filone che fonda la maggior parte dei capi d’accusa: i reati contestati sono frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti e disastro colposo. Gli indagati, si legge, “occultavano fraudolentemente l’inadempimento degli obblighi normativi nella gestione delle 285 gallerie del tronco autostradale”: in particolare, “le ispezioni ordinarie erano eseguite mediante passaggi in autovettura alla velocità di 60 km/h e senza esaminare le volte”, come imponevano le circolari ministeriali. Le ispezioni di dettaglio, invece, erano eseguite molto meno spesso di quanto richiesto o addirittura mai. Così gli utenti delle autostrade liguri, fino alla fine del 2019, erano esposti “al pericolo derivante dal distacco di parti delle volte delle gallerie, dovuto all’inevitabile ammaloramento progressivo dei materiali”, come successo nel caso della Berté, quando il crollo di un blocco di cemento di tre tonnellate non fece vittime solo per un caso fortunato.

Anche per quanto riguarda i report sui viadotti l’accusa è di frode in pubbliche forniture. Secondo i pm, gli indagati occultavano allo Stato l’inadempimento degli obblighi di manutenzione, proseguendo nella gestione delle infrastrutture pur essendo consapevoli “che le ispezioni erano svolte senza accedere alle parti cave dei ponti, ossia nei cassoni degli impalcati e nelle pile cave”, in alcune delle quali l’accesso era addirittura impossibile. Per queste e altre mancanze, “le ispezioni dei ponti erano idonee e inefficaci” e “i voti assegnati ai difetti rilevati nei ponti non corrispondevano alla realtà, in quanto sottostimati“. Infine il capitolo delle barriere fonoassorbenti modello “Integautos”, che a novembre 2020 portò all’arresto di Castellucci, Donferri e Berti, in seguito scarcerati. Le barriere, si legge nell’imputazione, “erano state progettate e costruite in modo errato e contrario alle norme di buona costruzione”, “non erano in grado di sopportare l’azione del vento ed erano perciò a rischio ribaltamento“: attaccate col Vinavil“, le definì il responsabile opere d’arte di Spea Lucio Ferretti Torricelli. Nonostante ciò, gli indagati occultavano il difetto agli organi di controllo “al fine di evitare le ingenti spese che (…) il ripristino della sicurezza avrebbe comportato”, e per questo dovranno rispondere di attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture. Ma anche di truffa allo Stato, perché tentarono di farsi rimborsare l’installazione di barriere fallate, spacciandole per migliorie apportate alla rete e “non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà”.

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