Samuele Longo ha fatto tredici, ma c’è poco da festeggiare. Tredici sono le squadre nelle quali il 30enne attaccante di Valdobbiadene è finito nel corso di una carriera frammentaria che rappresenta bene tutte le difficoltà per un giovane talento di emergere nel calcio italiano. Oggi Longo gioca nel Dordrecht, serie B olandese, arrivato in prestito dal Vicenza grazie all’interesse di Michele Santoni, tecnico che da anni lavora nei Paesi Bassi. “La mia priorità era lasciare l’Italia”, ha dichiarato Longo in un’intervista rilasciata al settimanale Voetbal International, nella quale ha raccontato la sua esperienza di calciatore-viaggiatore che in dieci anni si è trovato a vivere in quindici città diverse.

A livello giovanile Longo non è mai stato uno dei tanti: 14 gol in 28 partite nell’Inter Primavera, rete al debutto nell’Italia under-21 e soprattutto un ruolo da protagonista nella prima edizione della NextGen Series, l’antenata della Uefa Youth Champions League, vinta dall’Inter in finale contro l’Ajax il 25 marzo 2012 al Matchroom Stadium di Londra. In quella partita Longo segnò la rete del vantaggio dei nerazzurri guidati da Andrea Stramaccioni, poi vittoriosi ai rigori. Ma scorrendo rapidamente le stagioni successive emergeva chiaro l’imbuto nella quale si infilavano i giocatori dell’Inter Primavera rispetto ai pari età dello Jong Ajax: tre anni dopo, i primi avevano raccolto solo 11 presenze con la squadra maggiore rispetto alle 288 degli olandesi. Nemmeno in casa Ajax erano emersi fenomeni, però molti di loro erano riusciti a costruirsi una carriera solida che li aveva portati alla nazionale (Veltman, Klaassen, Fischer) e a giocare in Champions League (gli stessi citati prima, più Rits e Denswil). Nell’Inter una piccola chance era stata concessa solo a Livaja e Mbaye, mentre cinque degli undici scesi in campo in quella finale non sono mai nemmeno riusciti a debuttare in Serie A.

Longo però non cerca scuse, né fa sconti a sé stesso. “In alcune occasioni l’irruenza giovanile mi ha portato a commettere degli errori. Andavo in una squadra per giocare e se dopo qualche mese non ero titolare, chiedevo all’Inter di riprendermi a gennaio. Ho imparato che ci vuole tempo per conoscere una città, un club, un allenatore, i giocatori. Non è tutto immediato. Penso che a inizio carriera il prestito per un giovane sia una buona opzione, ma non può diventare una costante. Anche perché nei posti dove mi trovavo bene, calcisticamente parlando, poi non potevo rimanere. E la cosa diventava frustrante”. Nella stagione 2016-17 Longo è il miglior marcatore (14 gol) del Girona che per la prima volta nella sua storia conquista la promozione nella Liga spagnola. Le società però non trovano l’accordo economico per la permanenza del giocatore in Spagna. L’anno successivo una nuova ripartenza dalla Segunda Division, con il Tenerife, dove è ancora capocannoniere (12 reti), ma alla fine del campionato la destinazione è il solito ritorno a Milano.

Paradossalmente, Longo è stato uno dei giocatori con la più lunga militanza nell’Inter nel nuovo millennio, dal momento che il suo cartellino è appartenuto ai nerazzurri per dieci anni, fino al 2020, quando è stato ceduto al Vicenza. Due le presenze complessive in prima squadra, una in Serie A e una in Europa League. “Non ho cattivi ricordi dell’esperienza nell’Inter, pur con i naturali alti e bassi che ci sono stati. All’epoca era davvero una società top a livello internazionale, basti pensare che mi allenavo con Eto’o, Milito, Sneijder. Ovviamente mi aspettavo di più dal punto di vista sportivo, ma è andata così. E’ la vita, come si dice in questi casi. Con il senno di poi, se tornassi indietro avrei molta più fiducia in me stesso e ascolterei meno gli altri. Soprattutto, me ne sarei andato prima”.

Michele Santoni lavorava come video-analyst all’Ajax nel periodo della finale della NextGen Series. Per lui Longo non è stata scoperta dell’ultimo momento, ma fino a poco tempo fa era impensabile portare un giocatore dall’Italia in Olanda. Troppo alto il divario economico. Longo per giocare nel Dordrecht, in B, ha dovuto accettare una sostanziale riduzione dello stipendio rispetto a quello percepito in Lega Pro con il Vicenza. Eppure negli ultimi anni è cresciuto il contingente italiano nella Eredivisie e nella Keuken Kampion Divisie, le due serie pro olandesi. E’ stato chiamato dagli addetti ai lavori “l’effetto Pellè”. Da modesto attaccante in Italia Graziano Pellè arrivò fino in Nazionale, con la quale disputò l’Europeo 2016, grazie a una super stagione al Feyenoord che diede un notevole impulso alla sua carriera, lanciandolo anche – con risultati egregi – in Premier League. Da quel momento il sacrifico economico di optare per una soluzione “minore”, come quella rappresentata dal campionato olandese, per provare ad avere maggiori chance di costruirsi una carriera è sembrato più tollerabile. Non tutte le esperienza sono andate bene (si vedano i casi di Scamacca e Mastour al Pec Zwolle, ma anche lo stesso Pellè faticò quattro anni nell’Az prima di imporsi), tuttavia gli esperimenti positivi non sono mancati, da Samuele Mulattieri (18 gol nel 2020/21 con il Volendam) a Giacomo Quagliata (18 mesi di buon livello nell’Heracles Almelo, prima di rifiutare l’offerta del Feyenoord e tornare in Italia alla Cremonese). Oggi in Eredivisie giocano Lorenzo Lucca nell’Ajax, finora impiegato con più continuità nello Jong Ajax in B, dove ha segnato 3 gol in 2 partite; Gaetano Oristanio (prestito Inter) nel Volendam e Federico Mattiello nei Go Ahead Eagles.

Prima del Dordrecht, Longo non giocava due partite consecutive da titolare da due anni. “Al netto di qualche infortunio, mi trovavo in una spirale negativa che avrei potuto spezzare solo andandomene dall’Italia. Volevo giocare, volevo un allenatore che poteva darmi fiducia, volevo che il calcio tornasse a essere anche un divertimento e non solo pressione”. Gli fa eco Santoni: “Samuele è consapevole che qui non diventerà mai ricco, ma ha insistito lo stesso per venire a Dordrecht. Qualche tempo fa lessi un’intervista a Mulattieri che diceva come l’Olanda fosse un ambiente perfetto per crescere e migliorarsi, intendendo il paese a 360° e non solo la parte solo sportiva. Dalla mia esperienza posso affermare che qui il lavoro è molto più focalizzato sulla crescita e sul miglioramento dei giocatori, anche come persone, rispetto alle prestazioni. Queste ultime ovviamente devono arrivare, ma è difficile che qualcuno ti metta in panchina appena le cose non vanno bene”.

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