“Mi da de qua no me movo”. A parlare in tono deciso è un signore veneziano, che ripete la frase due volte. “Abito qui da sempre. Qui sono cresciuto, qui voglio morire”. Paolo – nome di fantasia – vive in un appartamento di proprietà demaniale nell’isola di S. Pietro di Castello, una delle ultime zone di Venezia non invase dal turismo di massa. Poco distante, l’Arsenale e i Giardini della Biennale. Ancora più vicino, dopo un ponte, si snoda via Garibaldi, fulcro del sestiere di Castello e cuore della Venezia popolare.

“Perché devo andar via per far posto a un albergo?”, chiede con rabbia Paolo a ilfattoquotidiano.it. Come lui, altre sette famiglie dovranno lasciare la loro casa, situata all’interno di un palazzo storico (sede vescovile fino al 1807, caserma fino alla Seconda Guerra mondiale). Il motivo? Verrà costruito un residence di lusso per turisti. “Un progetto devastante, sia per gli abitanti della zona sia per la città in generale”, rincara la dose Donatella Toso, portavoce del gruppo di S. Pietro di Castello.

Il progetto a cui si riferisce è quello di “valorizzazione” dell’area di S. Pietro e di S. Anna, che il Comune di Venezia intende acquisire dal Demanio per concedere in gestione alla società francese Artea. In un’area vincolata, dal pregio storico-culturale notevole, sorgerà un complesso di circa 7mila metri quadrati, dove sono previsti “spazi di co-working, co-living” e soprattutto una foresteria. Un’operazione da oltre 25 milioni di euro, senza oneri per il Comune di Venezia, con l’obiettivo di trasformare l’ex caserma Sanguineti e la vicina chiesa di S. Anna (ora abbandonata) in un complesso adibito a “ospitalità d’impresa”. Con tanto di centro benessere, ristorante e giardino per gli ospiti.

Un affare che sta facendo parecchio discutere in laguna, dove da mesi sono molte le voci che si levano contro il progetto, ritenuto “l’ennesima speculazione ai danni della collettività”. A preoccupare associazioni, movimenti e tutte le forze di minoranza in Consiglio comunale sono non solo l’espulsione di residenti a beneficio di una struttura ricettiva, ma anche l’uso di fatto privato che il senso complessivo dell’operazione tradirebbe, nonostante la disciplina normativa sul federalismo demaniale culturale – richiamata dalla stessa Giunta comunale veneziana – richieda la funzione pubblica dei beni di interesse culturale ceduti a scopo di “valorizzazione”. Mantenendo, inoltre, una funzione culturale.

Il tutto con un giallo non da poco relativamente al sottosuolo dell’area verde, che passerebbe in gestione all’investitore privato francese: gli scavi archeologici effettuati in passato hanno fatto emergere indicazioni di inestimabile valore a proposito della stessa fondazione di Venezia. E un documento della Soprintendenza rivela che “lo scavo non ha ancora esaurito le esigenze di tutela del sito, che rimane in gran parte non indagato”. Il progetto di Artea, dunque, renderebbe impossibile la continuazione degli scavi: una carta che i cittadini della zona, insieme all’attivismo di archeologi, urbanisti e della sezione veneziana di Italia Nostra, vogliono giocarsi per ribaltare l’esito di una partita che sembra già persa, vista la determinazione della maggioranza e della Giunta del sindaco Luigi Brugnaro.

Tutto inizia nel novembre 2020, anno in cui Artea, gruppo immobiliare francese che gestirà anche l’ex convento di S. Orsola a Firenze per i prossimi 50 anni, ha presentato al Comune di Venezia, per entrambi i compendi (ex caserma Sanguineti e chiesa di S. Anna), una “proposta di valorizzazione unitaria”, dichiarata “meritevole di interesse” dalla Giunta comunale lagunare con la delibera n. 252 del 26 ottobre 2021. Il primo, un edificio duecentesco ristrutturato nel tardo ‘500, fu sede del palazzo patriarcale finché Napoleone non decise il trasferimento a S. Marco, nel 1807. Divenne caserma e poi dimora provvisoria dei profughi giuliani reduci dal secondo conflitto mondiale fino agli anni ’70, quando venne diviso in appartamenti dove tuttora risiedono una ventina di persone.

Un complesso storico, in una zona altrettanto storica: l’isola di S. Pietro – in veneziano S. Piero, senza t – è, stando alle evidenze fin qui conosciute, uno dei contesti più antichi della città di Venezia. Una scoperta avvenuta grazie a scavi archeologici proprio nell’area verde retrostante l’ex caserma Sanguineti, dove sono emerse strutture di epoca bizantina che risalgono al V-VI secolo. Il secondo compendio, anch’esso duecentesco ma ricostruito nel ‘600, è l’ex chiesa di S. Anna, trasformata in ospedale della marina militare nell’Ottocento e oggi in stato di abbandono.

La proposta del gruppo francese prevede il restauro degli edifici e la destinazione ad “ospitalità d’impresa” del complesso, dove oltre a sale conferenza, spazi di formazione, studio e lavoro (ma anche relax: spa in primis), a fare la parte del leone sarebbe la foresteria. Con la speranza, stando alla delibera della Giunta comunale, di creare un “significativo indotto a tutte le attività commerciali della città”. Diretti interessati rispetto al nuovo complesso – che si propone come rivisitazione in chiave contemporanea del motto benedettino ora et labora – sono non solo otto famiglie residenti nell’ex caserma, ma anche un cantiere navale: il progetto prevede la costruzione di un approdo via acqua. Il progetto definitivo, però, verrà presentato entro fine anno, come ha spiegato il dirigente comunale veneziano Fabio Cacco. Poi partirà il tavolo tecnico che dovrebbe portare all’approvazione del Consiglio comunale.

“Nonostante l’uso di termini inglesi e altri escamotage, di fatto il progetto prevede una struttura ricettiva per ricchi, privatizzando una zona che ha conservato un tratto popolare ormai scomparso in molte altre parti di Venezia ed espellendo gli abitanti, che non sono stati nemmeno consultati”, incalza Donatella Toso (gruppo di S. Pietro di Castello). “Non è vero, come sostiene la Giunta comunale, che questa è un’area svantaggiata: la mobilità è garantita e nei paraggi ci sono ancora servizi ed esercizi commerciali di vicinato, tipici di un luogo non ancora sfigurato dal turismo di massa. Evidentemente si vuole portarlo anche qui”.

Sulla vicenda ha provato a far luce anche la senatrice Orietta Vanin (M5s), che nel novembre 2021, subito dopo la delibera della Giunta Brugnaro, ha presentato un’interrogazione ai ministri della Cultura e dell’Economia e delle Finanze. Senza ricevere risposta. Proprio il Mibac, oltretutto, nel 2013 ha bocciato un programma di valorizzazione presentato dal Comune di Venezia nel 2011-2012 relativo all’ex caserma Sanguineti, che prevedeva la realizzazione di alloggi di edilizia residenziale. Un progetto naufragato perché privo di riferimenti culturali, in antitesi alla lettera della normativa sul federalismo demaniale culturale. Requisito che i cittadini della zona non rinvengono nemmeno nel progetto dell’investitore francese.

Ma la novità che potrebbe sparigliare le carte è una relazione stilata dalla Soprintendenza veneziana, datata novembre 2020 e resa pubblica solo di recente, dopo un accesso agli atti da parte dei cittadini di S. Pietro. A due metri e mezzo di profondità, sotto l’ex caserma Sanguineti, “lo scavo non ha ancora esaurito le esigenze di tutela del sito che rimane in gran parte non indagato”. Per il gruppo di S. Pietro è un motivo sufficiente per accantonare il progetto di Artea.

Dalle assemblee pubbliche alle feste, la battaglia dei cittadini – che hanno presentato una petizione al Consiglio comunale di Venezia con oltre mille firme – si è trasformata in una campagna dal nome Salviamo San Piero e Sant’Anna. In varie zone della città sono comparsi drappi di solidarietà dalle finestre. “Ci stiamo mobilitando non solo per la difesa e l’ampliamento della funzione storica di residenza stabile, a partire dalle famiglie che già vivono nell’ex caserma, ma anche per la tutela dell’area verde nella sua integrità e per il rifinanziamento dei lavori di scavo. Chiediamo inoltre che l’area di S. Anna venga ristrutturata come uno spazio civico che permetta la partecipazione attiva dei cittadini veneziani, anche a fini culturali”. In campo S. Pietro, davanti all’ingresso del palazzo che potrebbe diventare struttura ricettiva, degli anziani conversano in dialetto. “Siamo come l’ultima tribù degli indiani”, è il commento amaro di Paolo.

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