Wimbledon, campo centrale, 14 luglio 2019. Alle 18.22 e dopo 4 ore 11 di gioco Roger Federer ha due palle match. Due set pari con Djokovic, adesso serve in vantaggio 8 a 7 e 40-15, gli ultimi due punti sono stati ace.

Il primo servizio, al centro, viene respinto dal nastro, poi gioca una seconda sicurezza, palla a 94 miglia orarie. Il dritto centrale di Nole, nulla di che, invoglia Roger a tentare lo sventaglio per cercare subito il punto. Quasi un voler arrivare il prima possibile all’ennesimo appuntamento con la storia, per una spanna ma finisce in corridoio, 40-30, c’è un’altra possibilità. Stavolta entra la prima, solida, 120 miglia orarie. Nole si limita a metterci il piatto, la risposta, corta, cade appena fuori dall’area di servizio, Roger va col dritto e scende a rete, forse poco lucido, la mette sul dritto di un Nole già appostato dalla parte giusta che lo infilza con un passante. Parità, non ci saranno altre occasioni per Federer. Questo minuto ha deciso l’edizione 2019 di Wimbledon che 45 minuti dopo assegnava il titolo a Djokovic.

Il minuto che ha cambiato la storia di Wimbledon, di Federer e in parte del tennis ronza da allora nella testa di Roger, e anche dei suoi tifosi. Il finale ideale della carriera del “maestro” passava da quel minuto, il nono titolo a Wimbledon, il 21esimo Slam e magari il torneo di casa a Basilea. Sarebbe stato l’addio perfetto, da annunciare quasi con rammarico perché se hai appena vinto Wimbledon, contro Djokovic, puoi vincere ancora tanto.

Soltanto fantasie purtroppo ma che hanno popolato sottoforma di incubi le notti insonni di Federer. Tre anni da incubo vero per tutto ciò che il mondo ha vissuto e vive e che ha contribuito, assieme agli infortuni, a distogliere la mente e il corpo di Federer dal campo. Roger Federer ha finito di essere se stesso al termine di quella finale. La steccata che ha dato il successo a Djokovic è il contrappasso di una carriera fatta di bellezza e fragilità, di vittorie e rivalità cordiali ma fatali. Ci sono stati altre partite dopo quel Wimbledon, anche quel prato che l’ha visto trionfare 8 volte l’ha respinto malamente nel 2021. Il quarto di finale contro Hurkacz, in tre set e con un mestissimo 6-0 finale resterà l’ultimo match ufficiale della carriera.

In 14 mesi di tribolazioni Roger avrà anche pensato di voler tornare per cancellare questo dato, ma il fisico prima della mente non glielo ha permesso. La testa ha poi metabolizzato le delusioni e fatto riemergere gli splendori di una carriera eccezionale in un’epoca eccezionale. Così anche il cuore ha deciso che era il momento di lasciare. La Laver Cup riunirà tutti i campioni che hanno vissuto con lui questi 20 anni di grande tennis. Il doppio con Nadal sarà emozione pura, per Roger, per Rafa, per gli avversari, per il pubblico che avrà occhi solo per il Re svizzero. Riempiamoci gli occhi ancora un’ultima volta. Londra, teatro di cambiamenti epocali, ne sta per vivere un altro.

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