L’industria agroalimentare contribuisce alla deforestazione con la “complicità” dell’Unione Europea. A denunciarlo è un nuovo rapporto, pubblicato oggi, che riaccende i riflettori sulla produzione insostenibile dei mangimi per gli allevamenti europei da cui derivano i prodotti acquistati quotidianamente dai consumatori. Lo studio, realizzato da una cordata di ONG (Periodistas por el Planeta, Madre Brava, Somos Monte e Fair Watch), lancia soprattutto l’allarme sulla distruzione della foresta del Gran Chaco in Argentina. Da tale paese provengono tre quarti della importazione italiana di farina di soia che, per il suo alto valore proteico, rappresenta fino al 25% nella composizione dei mangimi.

La farina di soia viene ricavata macinando i chicchi, peraltro geneticamente modificati, raccolti nelle piantagioni che continuano a rimpiazzare le foreste in America Latina (soprattutto Brasile e Argentina), come appunto il Chaco. Un’area che potrebbe essere lasciata senza tutela dalla nuova regolamentazione anti-deforestazione Ue, su cui l’Europarlamento si esprimerà in seduta plenaria martedì 13 e mercoledì 14 settembre. “La totale irresponsabilità dei grandi industriali dell’agribusiness e dei grandi produttori di carne e mangimi, che importano e utilizzano la soia senza preoccuparsi di provenienze e impatti, rende i consumatori europei complici (a loro insaputa) della distruzione delle foreste nel mondo”, si legge nel documento (integralmente consultabile qui) che Ilfattoquotidiano.it ha ottenuto in anteprima.

L’Argentina è il principale esportatore mondiale di farina di soia, con circa 68,6 milioni di tonnellate all’anno. L’Italia né è il sesto acquirente mondiale e tra i primi tre in Europa, insieme a Spagna e Regno Unito. Il consumo smisurato di soia argentina è costato negli ultimi 30 anni circa 14 milioni di ettari di alberi del Chaco, il secondo ecosistema forestale più grande del Sud America dopo l’Amazzonia. In quella che è la foresta secca più grande e importante del pianeta vivono quasi 5.000 specie diverse tra piante, uccelli, mammiferi, rettili e anfibi. Tra queste ci sono animali ad alto rischio di estinzione, come il giaguaro e l’armadillo gigante. Inoltre, per far spazio alle coltivazioni di soia, le popolazioni creole e indigene, tra cui Wichí, Pilagá, Qom, Vilela, Moqoit, vengono espulse dalle loro terre con intimidazione e violenza.

Senza contare che la massa arborea del Chaco assorbe enormi quantità di CO2 che viene rilasciata in atmosfera man mano che la foresta viene distrutta, contribuendo al riscaldamento del clima terrestre. La deforestazione pesa per circa il 15 per cento delle emissioni dell’Argentina e lo stesso fenomeno è responsabile del 14% delle emissioni a livello planetario, pari a quelle di tutti i trasporti (terrestri, marittimi e aerei). Una grossa fetta del Chaco continua a essere deforestata in violazione delle leggi che dovrebbero proteggerla. Secondo uno studio pubblicato su Global Environmental Change, tra il 2011 e il 2020, nelle tre province che rappresentano il 70% della deforestazione del paese (Salta, Santiago del Estero e Chaco) il disboscamento illegale (609.563 ettari) ha addirittura superato quello in aree consentite (475.294 ettari). “Gli italiani vogliono sapere da dove viene il loro cibo e odiano l’idea di essere complici della deforestazione quando fanno la spesa al supermercato – dichiara Nico Muzi di Madre Brava – La realtà oggi è che i produttori di marchi DOP, come Grana Padano e Prosciutto San Daniele, non possono garantire che le loro mucche e i loro maiali non vengano nutriti con la soia argentina legata alla distruzione delle foreste del Chaco”.

La farina parte con navi cargo principalmente dal porto argentino di Rosario-San Lorenzo sul fiume Paranà, dove si trovano gli impianti che macinano i chicchi giunti con treno e camion dalle piantagioni del Chaco, viene sbarcata a Savona e Ravenna e poi miscelata con altri cereali dai produttori di mangimi italiani che riforniscono tutti i comparti di bestiame (suini, bovini, pollame, uova, vacche da latte). I tre principali esportatori sul mercato italiano sono la cinese Cofco, l’argentina Aceitera General Deheza e l’americana Bunge, rispettivamente con 712, 298 e 282 mila tonnellate nel 2019, secondo i dati di Trase, piattaforma per il monitoraggio della sostenibilità delle materie prime agricole. “Coi loro impianti di stoccaggio di chicchi di soia nelle aree che rappresentano i fronti caldi della deforestazione nel Chaco, imprese come Bunge e Cofco sono andate ad accrescere la pressione per eliminare i boschi della regione”, afferma Riccardo Tiddi, tecnico specializzato in sistemi di informazione geografica applicati al monitoraggio della deforestazione nel Chaco argentino.

La soia ha devastato più ecosistemi forestali di qualsiasi altro prodotto esportato tra il 2005 e il 2017 nell’Ue, che è il terzo importatore mondiale di derrate responsabili della deforestazione tropicale, dopo Cina e India. Per rimediare al disastro ambientale, nel novembre 2021 la Commissione europea ha proposto una nuova normativa che obbliga gli importatori a dimostrare che le loro merci non sono state prodotte su terreni recentemente deforestati. Tuttavia, diverse lacune giuridiche e le pressioni dell’industria rischiano di annacquare i vincoli, lasciando le foreste, e in particolare il Chaco, in balia della logica del profitto. La proposta di legge stabilisce innanzitutto che solo i prodotti agricoli coltivati su terreni deforestati dopo il 2020 non possano essere venduti nell’Ue.

La società civile chiede di anticipare la data di decorrenza al 2015 per consentire la rigenerazione di larghe parti delle foreste già degradate ma ancora recuperabili. Secondo: la proposta protegge solo gli habitat che rientrano nella definizione FAO di “foresta”. Tuttavia, le regioni colpite maggiormente dalla deforestazione sono complessi mosaici dove le foreste propriamente dette si intrecciano con savana e praterie naturali, come il Chaco argentino e il Cerrado brasiliano. Queste zone sarebbero escluse dalla tutela normativa. Secondo Trase, limitando la legge europea alle foreste come definite dalla FAO si condannerebbe alla devastazione un terzo del Chaco, ossia 32 milioni di ettari. Si potrebbe invece salvarne un’11% in più, estendendo le regole a tutti gli “altri terreni boschivi”, come raccomandato da uno degli emendamenti votati dalla Commissione Ambiente dell’Europarlamento che ora passerà al vaglio della plenaria.

Contro l’adozione di oneri stringenti a salvaguardia delle foreste è scesa in campo la Federazione europea dei produttori europei di mangimi (FEFAC) che preme sulla Commissione europea per indebolire il testo della proposta. Nella sua lettera indirizzata al vicepresidente dell’esecutivo di Bruxelles, Frans Timmermans, la FEFAC afferma che il controllo rigoroso della filiera è “tecnicamente ed effettivamente irrealizzabile” e che può causare “gravi aumenti di prezzo e problemi di disponibilità” per cereali e mangimi. La controproposta della FEFAC raccomanda l’introduzione del cosiddetto sistema di bilancio di massa per certificare i “volumi sostenibili” di merci lungo le catene di approvvigionamento. Tale sistema permette di mescolare la soia pulita con quella all’origine della deforestazione. “Sarebbe come ‘legalizzare’ l’attuale status quo, senza cambiare nulla nei paesi produttori come l’Argentina e la distruzione delle foreste del Chaco, alimentata dall’espansione della soia, continuerebbe come prima”, puntualizzano le Ong. “Ecco perché stiamo esortando i deputati italiani a sostenere una forte legge Ue contro la deforestazione che garantisca la piena tracciabilità fino all’appezzamento di terra e protegga non solo le foreste, ma anche gli altri terreni boschivi”, conclude Muzi.

Articolo realizzato nell’ambito dell’inchiesta condotta da Voxeurop col supporto di JournalismFund.
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