Le sanzioni apporteranno gravi danni all’economia russa solo nel lungo periodo, con il Paese che, ipotizzando un conflitto duraturo e conseguenti ritorsioni economiche da parte di Stati Uniti e Unione europea, rischierebbe di tornare ai livelli pre-guerra “solo alla fine del decennio o più tardi”. È quanto si legge in un rapporto interno sull’economia russa preparato dagli esperti al servizio del Cremlino e reso pubblico da Bloomberg.

Secondo il report, la Russia potrebbe trovarsi ad affrontare una “recessione più lunga e più profonda con l’estendersi dell’impatto delle sanzioni statunitensi ed europee, penalizzando i settori su cui il Paese ha fatto affidamento per anni per alimentare la sua economia”. Questo influirebbe in maniera decisiva sulla crescita del Paese, anche se le stime a breve-medio termine sono meno catastrofiche rispetto a quelle diffuse dalla Banca Mondiale. Nel documento preparato dagli esperti russi si legge infatti che nella peggiore delle ipotesi si assisterà a un calo del Pil russo del 4,2% nel 2022, una flessione ben inferiore a quella prospettata da Washington che, nel proprio Global Economic Prospects pubblicato a giugno 2022, stimava un calo dell’11,3%. Cifre che, secondo i tecnici del Cremlino, saranno raggiunte solo nel caso in cui questa situazione e le pressioni economiche straniere dovessero protrarsi, se non aumentare con l’aggiunta di altri Paesi, fino alla fine del 2023 o, addirittura, del 2024, quando il calo stimato si attesterebbe intorno all’11,9%.

Una situazione così estrema costringerebbe la Russia ad affrontare una recessione più lunga e più profonda man mano che l’impatto delle sanzioni statunitensi ed europee si diffonde, ostacolando i settori su cui il Paese fa affidamento da anni per alimentare la sua economia, si legge nel report dei russi. Al di là delle restrizioni stesse, che coprono circa un quarto delle importazioni e delle esportazioni, il rapporto spiega che la Russia si trova adesso ad affrontare un “blocco” che “ha colpito praticamente tutte le forme di trasporto”. I limiti tecnologici e finanziari aumentano la pressione, mentre il rapporto stima che fino a 200mila specialisti IT potrebbero lasciare il paese entro il 2025.

Questo processo, se protratto nel tempo, si aggraverà anche a causa delle perdite, fino ad oggi non registrate, “in alcuni settori orientati all’esportazione”, su tutti petrolio, gas e metalli, oltre ai prodotti chimici e al legno. Sebbene in futuro sia possibile un rimbalzo, “questi settori cesseranno di essere i motori dell’economia”, dicono. Per il momento, però, i dati parlano chiaro: le esportazioni di materie prime rappresentano ancora la principale fonte di finanziamento per la Federazione. Dall’inizio della guerra, secondo i numeri forniti in tempo reale dal Russian Fossil Tracker del Crea (Centre for Research on Energy and Clean Air), al momento in cui si scrive il settore ha portato nelle casse del Paese, dall’inizio del conflitto, oltre 165 miliardi di euro, 87 dei quali proprio da quell’Unione europea che sta imponendo pesanti sanzioni economiche.

Mosca intanto si è accordata con Pechino per il pagamento esclusivamente in rubli e yuan delle forniture di gas russo attraverso il gasdotto Sila Sibiry. Il quotidiano del mondo imprenditoriale russo Kommersant riferisce che l’accordo è stato firmato tra il presidente della Gazprom, Alexei Miller, e quello della compagnia cinese Cnpc, Dai Houliang. Durante l’incontro, avvenuto in videoconferenza, sono stati anche firmati accordi aggiuntivi all’intesa per la vendita a lungo termine di gas alla Cina lungo la rotta orientale.

Articolo Precedente

Sospensione del gas russo all’Europa, la denuncia di Kiev: “Ecco il video di Gazprom in cui annuncia un ‘grande inverno'”

next
Articolo Successivo

Regno Unito, il primo discorso di Liz Truss da premier a Downing Street: “Supereremo la tempesta”. E annuncia le prime nomine

next