C’era anche Lady Diana in quel pomeriggio d’estate di 25 anni fa nel Duomo di Milano, bellissima e affranta per la morte del caro amico e stilista preferito Gianni Versace, assassinato il 15 luglio del 1997 davanti alla sua villa a Miami da un giovane ossessionato dalla sua immensa figura di personaggio pubblico amato e stimato in tutto il mondo. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che la Principessa avrebbe perso la vita poco più di un mese più tardi, quel maledetto 31 agosto quando l’auto su cui viaggiava insieme al compagno, il miliardario egiziano Dodi Al Fayed, a causa dell’alta velocità andò a sbattere violentemente contro il 13esimo pilone sotto il Pont dell’Alma a Parigi.

Le successive indagini condotte sia dalla polizia francese che da quella inglese hanno da tempo appurato che a provocare il tragico incidente furono, oltre alla velocità piuttosto elevata, anche le condizioni psicofisiche dell’autista, Henri Paul, che aveva in corpo una quantità di alcool tre volte superiore ai limiti consentiti per legge oltre ad un cocktail di psicofarmaci e antidepressivi e l’esigenza di fuggire dalla presenza dei paparazzi lanciati all’inseguimento di quella che in quel momento era considerata la coppia più famosa del mondo, e l’occasione più ghiotta per alimentare scoop sul gossip dell’estate.

Ma come spesso accade, intorno alla morte di un personaggio tanto noto e amato dal pubblico, possono fiorire ipotesi di complotti e scenari più o meno verosimili alimentati da alcuni interrogativi che ancora oggi rimangono senza risposta. Mentre per l’assassinio di Gianni Versace, nonostante le denunce per diffamazione portate avanti dalla famiglia, non sono mai cessate le inchieste su probabili mandanti dell’omicidio appartenenti al mondo della criminalità organizzata, nel caso di Lady D. non mancarono illazioni, articoli e pubblicazioni che ipotizzavano un complotto ordito dalla famiglia reale con la complicità dei servizi segreti per uccidere la Principessa, rea di aver allacciato una relazione amorosa con un uomo di religione musulmana e di progettare una gravidanza, forse addirittura già in atto, che avrebbe regalato all’erede al trono d’Inghilterra un fratellastro islamico.

Sebbene nulla di tutto ciò sia mai stato supportato da uno straccio di prova concreta, l’ombra del dubbio non ha mai smesso di alimentare dibattiti nell’opinione pubblica, forte dello spazio di libero scambio di opinioni che il web aveva cominciato a rappresentare alla fine degli anni Novanta e che continua ad incarnare oggi.

Se è vero che tali supposizioni non hanno mai trovato riscontro ufficiale negli atti d’indagine sulla morte della principessa Diana, è pur vero che le accuse di razzismo alla famiglia reale lanciate da Harry e Meghan nella famosa intervista rilasciata a Oprah Winfrey e le successive dichiarazioni fatte da Harry nel corso di un documentario condotto e curato sempre dalla conduttrice statunitense hanno dato nuova linfa ai sospetti sull’atteggiamento ostile che Buckingham Palace avrebbe nutrito nei confronti della Principessa, e della persecuzione perpetrata dai media e dai fotografi sempre pronti ad evidenziare comportamenti e situazioni che la rendevano un elemento scomodo e ingombrante per la Corona inglese.

Nel corso del programma di Oprah, dopo aver confessato la decisione di allontanarsi dal Palazzo per non far subire alla moglie lo stesso trattamento riservato a sua madre in seguito alla confessione di Meghan di aver pensato al suicidio, il principe Harry si è spinto addirittura a dichiarare: “Mia madre è stata inseguita fino alla morte perché aveva una relazione con qualcuno che non era bianco”. Un’affermazione che fa molta impressione se pensiamo che, ancora prima del magnate egiziano, almeno da un paio di anni i giornali stavano dando la caccia alla coppia formata da Lady D. e Hasnat Khan, il cardiochirurgo pakistano che la Principessa aveva addirittura intenzione di sposare prima che la loro relazione finisse per volere di lui.

Il medico ricambiava l’amore della Principessa, ma non era pronto a rinunciare alla sua vita di professionista timido e schivo per finire preda dei continui inseguimenti dei paparazzi e dei giornalisti, che avrebbero per sempre messo fine alla sua esigenza di privacy. Purtroppo la loro storia d’amore che avevano cercato in tutti i modi di proteggere, ma che ormai stava diventando di dominio pubblico, subì una battuta d’arresto e consegnò l’indimenticata Diana al suo destino di Principessa infelice e alquanto sfortunata.

Sotto questa luce le parole del secondogenito di Diana sembrano liberarsi dalle accuse di mania di protagonismo e delirio persecutorio che alcuni gli attribuiscono e, quantomeno, fanno sorgere la certezza che Lady D., seppur morta in un tragico incidente che nessuno ha architettato alle sue spalle, è stata molto amata dalla gente, un po’ meno da chi avrebbe dovuto prendersene cura all’interno della famiglia reale e dai tabloid che avrebbero dovuto continuare a rispettarla come donna, madre e figura pubblica anche dopo il divorzio dal principe Carlo.

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