Il populismo economico è uno degli ingredienti fondamentali di ogni campagna elettorale. Nei tempi attuali ha acquistato una rilevanza ancora maggiore, data la concomitanza di molti fattori negativi che pesano sulle nostre condizioni economiche come la crisi pandemica, gli effetti della guerra in Ucraina e l’elevata inflazione. Non sorprende allora che i programmi elettorali siano come delle generose cornucopie grondanti di promesse di riduzioni di tasse, di aumenti di agevolazioni, contributi, sovvenzioni e così via.

La gradazione di questo ineliminabile lievito elettorale, il populismo, è tuttavia differente, come è giusto che sia, ma a volte raggiunge livelli veramente stellari, come nel programma elettorale di Fratelli d’Italia, Appunti per un programma conservatore, liberamente disponibile in rete. Il programma di questo partito è particolarmente importante perché è attualmente in testa nei sondaggi. Inoltre la sua leader, per tacitare i mercati internazionali dei capitali, ha annunciato che in caso di vittoria sarà responsabile nei confronti dei conti pubblici. Promessa credibile? Andiamo a leggere alcune proposte del suo programma elettorale per capire come stanno veramente le cose. Questi Appunti sono un documento lungo ed articolato, e questo ci aiuta a capire meglio in che cosa consista il programma della destra più conservatrice in Italia. Mi concentro sulla parte economica, e non tutta.

Per ragioni di spazio tocco solo due proposte economiche. Una è nel capitolo Crescere nel lavoro. Qual è la proposta della destra post-missina per i lavoratori dipendenti? In teoria allettante. La proposta è quella di aumentare il salario netto annuale di 3.500 euro, ossia, come recita il testo, tre salari in più ogni anno. Da dove deriva questo miracolo economico? Fondamentalmente da due interventi. La riduzione di 5 punti del cuneo fiscale, ora al 33%, riduzione ripartita tra imprese e lavoratori. Nulla di male nel sistema contributivo. Meno contributi e meno pensione. Nessuna grande conseguenza per i saldi della finanza pubblica. Invece la proposta Meloni prevede che questi contributi non versati all’Inps siano ancora utili per il conteggio pensionistico. Insomma, qualcun altro tra dieci o venti anni pagherà questo debito occulto.

La seconda è l’esenzione Irpef per il Tfr che si potrebbe riscuotere addirittura mensilmente. Anche qui i costi per lo Stato sarebbero molto elevati ma il documento non li indica. In definitiva i 3.500 euro che i lavoratori dipendenti si porterebbero in tasca deriverebbero, come in ogni fantasiosa proposta populista, da un pesante aumento del deficit pubblico presente e futuro. Nulla di nuovo e nessuna traccia di responsabilità fiscale.

Lo stesso scarso entusiasmo per la solidità dei conti pubblici lo troviamo nel capitolo Crescere per superare il disagio. Qui la partita è molto grossa. Si legge che “è importantissimo alzare le pensioni minime a mille euro al mese” perché sei milioni di persone sono sotto questa soglia. Qui ci sono due problemi. Il primo, ovvio, è che questa misura è insostenibile per le casse dello Stato e quindi irrealizzabile. La seconda è di carattere etico. Le pensioni basse in genere non sono tali per fattori casuali. In teoria ogni pensione dovrebbe essere calibrata sui contributi versati. Ma qui il discorso potrebbe essere molto complesso.

Se il problema principale è la sostenibilità finanziaria delle misure che vengono proposte da FdI, un osservatore neutrale potrebbe dire che c’è una soluzione ovvia e a portata di mano. Meloni sta dicendo ad ogni intervista che abolirà il reddito di cittadinanza. In questo modo potrà recuperare gli 8 miliardi per realizzare le sue proposte a vantaggio dei lavoratori dipendenti. Tutto a posto allora, almeno dal punto di vista dei saldi contabili? Non proprio. Ancora nel capitolo Crescere per superare il disagio, dopo le solite lamentele sul salario di cittadinanza, ovviamente da abolire, troviamo una proposta che non ti aspetteresti. Fratelli d’Italia, si legge nel testo, ha presentato nella recente legge di bilancio un emendamento per introdurre, al posto del reddito di cittadinanza, “l’assegno di solidarietà”, rivolto ai nuclei familiari in cui sia presente, alternativamente, almeno un anziano, un minore o un disabile. La spesa è di 400 euro mensili a persona, aumentabili di 250 euro.

Quanto verrebbe a costare questa brutta copia del tanto odiato reddito di cittadinanza? Per non smentire l’afflato populistico si legge testualmente che l’intervento “richiede una somma potenzialmente superiore al reddito di cittadinanza, ma naturalmente in grado di aiutare chi è realmente in difficoltà, soprattutto le famiglie numerose”. Insomma, Meloni copia spudoratamente il reddito di cittadinanza, che potrà avere tanti difetti, ma qualche beneficio in termini di riduzione della povertà l’ha portato. Certo il nome è diverso, ma la sostanza è la stessa e non porterà nemmeno qualche risparmio pubblico.

Conviene fermarci qui. Senza toccare altri aspetti economici veramente iperbolici contenuti negli Appunti è chiaro adesso perché, quando Meloni parla di responsabilità verso i conti pubblici, non sia minimamente creduta, e anzi susciti qualche risolino di ironia. Gli Appunti di Fratelli d’Italia sono il perfetto, si fa per dire, manuale populista, un elenco di proposte economiche e fiscali neanche minimamente realizzabili e che, se disgraziatamente realizzate, porterebbero alla crisi definitiva e inarrestabile della finanza pubblica, oltre che ad una tragica instabilità economica. Non c’è alcuna traccia di quella responsabilità fiscale dietro la quale Meloni cerca oggi, piuttosto malamente, di nascondersi per accalappiare l’elettore distratto, e non certo mediano.

Un programma di questo tipo, discutibile nelle coordinate culturali di fondo e sbagliato nelle ultra-demagogiche proposte suggerite, dovrebbe raccogliere il consenso forse del 4% degli italiani come nel 2018, cioè quello degli amici di quartiere e dei simpatizzanti. Che su queste basi di totale irresponsabilità fiscale il partito post-missino possa raccogliere ampi consensi elettorali è quasi inspiegabile, non solo per la stampa estera sbigottita. Intanto la premier in pectore Meloni per evitare brutte figure a livello internazionale potrebbe rileggersi, e magari correggere se lo ritiene a questo punto opportuno, il programma elettorale del suo partito, elaborato evidentemente a sua insaputa.

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