Mentre anche Azione e il Pd si allineano alla proposta M5s di un salario minimo di 9 euro lordi all’ora, l’ex pentastellato e oggi leader di Impegno Civico Luigi Di Maio ci ripensa. Il ministro degli Esteri, che da esponente del Movimento e vicepremier di Giuseppe Conte era stato tra i grandi sostenitori della misura contro la povertà lavorativa, ora ha cambiato idea. “Dobbiamo prevedere un salario minimo, ma non possiamo imporlo per legge perché dovrebbero pagarlo le imprese”, ha detto sabato in un video su YouTube. Che cosa intenda l’aveva spiegato ancora meglio il 26 luglio a In Onda: “Il salario minimo si deve fare e siamo tutti d’accordo, ma non lo puoi imporre per legge agli imprenditori che già pagano un botto di tasse”. Una posizione assai diversa rispetto a quella del giugno 2019, quando spiegava: “Prevediamo di fissare per legge una soglia di almeno nove euro lordi l’ora al di sotto della quale non si può scendere. In sostanza, contratti da tre o quattro euro l’ora come se ne vedono oggi non saranno più consentiti”.

Dopo l’uscita dal Movimento la sua posizione è diventata assai più conciliante nei confronti delle imprese: salario minimo sì, ma non per legge. “Non puoi dire agli imprenditori che devono aumentare gli stipendi tout court”, ha esplicitato a Tg4, diario del giorno strizzando l’occhio al suo potenziale nuovo elettorato, “devi mettere al tavolo imprenditori e qualche dipendente e raggiungi un accordo per cui d’ora in poi nessuno viene più pagato due o tre euro all’ora”. L’idea sembra insomma quella di rifarsi ai minimi contrattuali lasciando che a sbrogliare la matassa siano le parti sociali. Le stesse che in alcuni casi hanno sottoscritto accordi che prevedono minimi di pochi euro all’ora, appunto.

Di salario minimo in Italia si parla da almeno 15 anni ma, nonostante le proposte, nessun governo è mai riuscito a introdurlo. In Unione Europea sono 21 i Paesi che hanno un salario minimo per legge su 27 totali. Tra i grandi assenti c’è proprio l’Italia, che è anche il quarto Paese Ue per quota di lavoratori poveri, ovvero di cittadini che pur lavorando guadagnano troppo poco per la propria sussistenza. Tra i più grandi sostenitori di questa misura di civiltà – nonché battaglia identitaria del Movimento 5 Stelle dalla sua fondazione – c’era proprio Di Maio, che a più riprese da ministro del Lavoro e dello Sviluppo e vicepremier del governo Conte 1 ne ha promesso l’introduzione sostenendo il ddl Catalfo, a firma della senatrice ed ex ministra del Lavoro del Movimento 5 Stelle Nunzia Catalfo. Per Di Maio quella del salario minimo era una battaglia necessaria per “dare dignità alle retribuzioni”. “Dobbiamo accelerare l’iter della proposta sul salario minimo orario perché tutti dicono a chiacchiere di essere a favore del lavoro, ma in realtà chi approva questa legge sarà colui che avrà tutelato i diritti dei lavoratori. Chi invece, in questo momento, lo sta rallentando, sta dando una pugnalata a quei lavoratori”, dichiarava. Una visione molto differente dal “salario minimo facoltativo” di cui il leader di Impegno Civico parla oggi.

E ancora, in un post pubblicato su facebook il 1° aprile 2019, Di Maio sottolineava: “Nel 2015 pure la Germania ha colmato il gap, introducendo un salario minimo che nel 2018 si è attestato a 8,84 euro all’ora (1.497,50 euro mensili) che saliranno a 9,19 euro nel 2019 e 9,35 nel 2020 (12 euro lordi all’ora dal prossimo 1° ottobre, ndr). In Francia invece l’anno scorso il salario minimo stabilito è stato pari a 1.498,50 euro mensili. In Italia invece chi ha governato prima di noi, soprattutto la sinistra, non ha fatto niente per dare maggiore dignità ai lavoratori attraverso l’istituzione di un salario minimo orario. Questa è una storica battaglia del MoVimento 5 Stelle e il 2019 dovrà essere l’anno del salario minimo orario!”. “Come si cambia per non morire”, cantava Fiorella Mannoia. E com’è cambiato per affrancarsi al centro moderato il ministro degli Esteri che ora, nel bel mezzo della campagna elettorale, esprime posizioni politiche diametralmente opposte a quelle sostenute dal Di Maio a 5 Stelle di pochissimi anni fa.

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