di Roberta Ravello

E’ stato accolto il ricorso contro gli stereotipi sessisti nei tribunali italiani che l’associazione Differenza Donna aveva presentato: il Cedaw, Comitato delle Nazioni Unite che monitora la convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione contro le donne, ha riconosciuto infatti che i pregiudizi diffusi nei tribunali italiani violano il principio dell’uguaglianza delle donne davanti alla legge. Il caso parte da un ricorso presentato da una donna già vittima di violenza domestica e poi stuprata da un agente delle forze dell’ordine, prima condannato e poi assolto nei successivi gradi di giudizio.

Negli interventi dell’autorità giudiziaria italiana sono stati riscontrati stereotipi sessisti, quindi il comitato dell’Onu ha condannato lo Stato al risarcimento morale e materiale nei confronti della vittima e ha raccomandato di introdurre programmi specifici di formazione sulla violenza contro le donne per tutti gli operatori della giustizia e ha infine intimato al nostro Paese di modificare il reato di violenza sessuale, garantendo la centralità del consenso della vittima come elemento determinante del delitto. A raggiungere lo storico risultato sono state le avvocatesse di Differenza Donna: Teresa Manente, Ilaria Boiano, Rossella Benedetti, Marta Cigna.

Lo Stato italiano nel procedimento ha difeso le politiche nazionali adottate negli ultimi anni in materia di prevenzione della violenza di genere nonché l’operato dell’autorità giudiziaria, ma il comitato Cedaw ha ritenuto che il trattamento riservato alla donna prima dalla corte d’appello, e poi dalla Corte di Cassazione, non abbia garantito ”l’uguaglianza sostanziale della donna vittima di violenza di genere” nascondendo ”una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, delle implicazioni e delle complessità dell’abuso di autorità, compreso l’uso e l’abuso di fiducia e l’impatto dell’esposizione ai traumi successivi”.

Secondo il comitato, inoltre, sono state ignorate le vulnerabilità e le esigenze specifiche della donna vittima di violenza domestica. Lo Stato italiano ha rivendicato ”sforzi significativi per implementare iniziative sulla parità di genere”, ma ha sottolineato che, se non si riconosce l’esistenza degli stereotipi sessisti e non si intraprendono azioni determinate per rimediare ai pregiudizi diffusi, qualsiasi modifica legislativa è vana, in quanto inaffidabile ”per cambiare la realtà delle donne, che sono vittime in modo sproporzionato di violenze e abusi, che possono lasciare cicatrici (a volte invisibili) per tutta la vita e a livello intergenerazionale”.
Il comitato dell’Onu non ha riconosciuto però questo impegno come sufficiente a sanare gli stereotipi sessisti che discriminano le donne nei tribunali. Ora vediamo cosa cambierà grazie a questa storica sentenza, aspettando oramai i tempi della nuova legislatura.

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