La partita finale europea sulla tassonomia si avvicina sempre più. Ma, rispetto a qualche mese fa, il contesto è molto più complesso. Gli europarlamentari delle Commissioni Ambiente ed Economia, in riunione congiunta, oggi dovranno votare a favore o contro il secondo atto delegato adottato a febbraio che classifica il nucleare e il gas come attività economiche sostenibili (e quindi finanziabili). Sarà votata una mozione di rigetto dell’atto delegato presentata da eurodeputati delle due commissioni, appartenenti a cinque gruppi politici: Verdi europei, Ppe, Sinistra, S&D e Renew. Gli eurodeputati delle due commissioni dovranno respingerla o approvarla in toto. Poi passerà all’esame della plenaria in programma dal 4 al 7 luglio e qui, per bocciare il testo, sarà necessaria la maggioranza assoluta degli aventi diritto, ossia 353 voti. Dietro la scelta, però, non c’è più solo la questione energetica in senso stretto, con le diverse politiche rispetto al nucleare o alle fonti fossili o quella ambientale. C’è anche il ruolo della Russia e del suo gas.

La mozione al voto – Lo dimostra il fatto che la mozione di rigetto dell’atto delegato sia stata presentata da un’alleanza decisamente trasversale. I gruppi politici, però, non sono compatti tra di loro e molto si giocherà sull’appartenenza nazionale e sulle decisioni individuali. Emblematiche le parole pronunciate in conferenza stampa da Christophe Hansen (Ppe) proprio alla luce della dipendenza europea da Mosca: “Questo atto delegato è arrivato prima della guerra in Ucraina”, ha detto sottolineando che “adesso ha ancora meno senso” di prima. “Politicamente non possiamo accettare di finanziare una macchina della guerra – ha aggiunto – ancora più di quanto non stiamo già facendo, purtroppo”. A maggio è stato pubblicato un rapporto di Greenpeace Francia che rivela il forte condizionamento esercitato dai giganti russi degli idrocarburi Gazprom e Lukoil e dall’azienda nucleare di stato russa Rosatom sulla definizione della tassonomia. Alcuni Paesi, però, sono più dipendenti di altri dal gas. Dunque, nonostante tutto, frenano. Ergo: il Ppe è spaccato. Anche Bas Eickhout, deputato dei Verdi europei, in conferenza stampa ha sottolineato il fatto che l’atto delegato è stato concepito prima della guerra. Con gas e nucleare verdi, ha spiegato, sarebbero considerati sostenibili “gli investimenti in gasdotti ma non in gas naturale liquido, di cui si parla tanto per ridurre la nostra dipendenza dalle fonti fossili dalla Russia”.

L’atto delegato che ha spaccato l’Europa – D’altronde sull’atto delegato in questione l’Europa stessa si è sempre divisa. Soprattutto per quel che riguarda il nucleare dal quale la Francia ricava quasi il 70% dell’energia, ma contro cui la Germania si è schierata fino all’ultimo. Si è parlato, invece, di una sorta di patto affinché Roma non ostacolasse l’energia dell’atomo tanto cara a Parigi e la Francia sostenesse l’Italia sul gas, a cui però erano e sono interessati molti Paesi, in primis Germania e Polonia. Non è un caso se Emmanuel Macron abbia spinto parecchio per legare in un unico dossier le sorti del nucleare a quelle, molto più sicure, del gas. Poi, però, è accaduto di tutto. Complice l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il nucleare, insieme al carbone e allo stesso gas (da recuperare per altre vie) sono stati indicati dai leader di mezzo mondo come ‘alternative’ contro la dipendenza da Mosca. A metà maggio, in un giro di consultazioni preliminari condotto dalla presidenza francese dell’Ue, Berlino ha però confermato la sua intenzione di opporsi al regolamento delegato Ue che classifica nucleare e gas come attività sostenibili, utili alla transizione. Se il Parlamento non lo dovesse respingere, l’atto delegato entrerà in vigore e il gas e l’energia nucleare diventeranno ufficialmente ‘investimenti verdi’. “Se la lista che include gas e nucleare tra gli investimenti verdi verrà bocciata – spiega Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia – gli Stati membri e gli investitori privati potranno comunque investire nell’energia nucleare o nel gas fossile. Tuttavia, le persone che vogliono finanziare le tecnologie verdi non saranno tratte in inganno e non investiranno i loro soldi in attività che credono sostenibili, ma che in realtà sono dannose per il clima e l’ambiente”.

L’affaire Fit For 55 – Ma sul voto odierno pesa come un macigno anche l’affaire Fit For 55 appena concluso. Anzi, non concluso, dato che sono diversi i dossier su cui non si è raggiunto un accordo, su cui si discute anche in queste ore e che rischiano di far naufragare l’obiettivo principe del Fit for 55, ossia il taglio delle emissioni del 55% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030. A iniziare da quello sulla riforma del sistema Ets ostacolata dalle lobby, ma cuore del piano presentato un anno fa dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

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