Chi pensava che la pandemia avrebbe ricordato l’importanza della sanità pubblica si sbagliava. A pochi mesi dalla fine dell’emergenza, e con il rischio di una prossima ondata in autunno, il sistema sanitario italiano si trova già a corto di risorse. I due miliardi aggiuntivi stanziati per quest’anno dalla legge di bilancio, infatti, sono insufficienti a far fronte alle esigenze degli ospedali e dei servizi locali. L’allarme lanciato in Emilia Romagna dalla Fp Cgil, sigla sindacale di categoria dei dipendenti pubblici, è preoccupante: mancano medici e infermieri e non ci sono i soldi per pagare gli straordinari e i premi di produttività.

“C’è un problema di sottofinanziamento complessivo dal quale ne conseguono altri due: la carenza di personale e la scarsità dei fondi per la contrattazione integrativa”, sottolinea il segretario regionale della Fp Cgil con delega alla sanità, Marco Blanzieri. Per questo il sindacato farà un presidio davanti alla sede della Regione lunedì 13 giugno. La situazione è comune a tutte le province ma riguarda in particolare Parma, dove la Fp Cgil ha dichiarato il 28 maggio lo stato di agitazione nell’Azienda ospedaliera e nell’Azienda dell’Unità sanitaria locale (Ausl). “Lo manterremo finché non si trova una soluzione”, commenta la segretaria del sindacato in città, Rosalba Calandra Checco. Il primo giugno c’è stato un incontro con i vertici dell’azienda ospedaliera durante il quale è stato quantificato il fabbisogno aggiuntivo per quest’anno: cinque milioni di euro. Si tratta di denaro che serve a pagare gli straordinari e la produttività. “Sul comparto, e cioè amministrativi, operatori sanitari, tecnici e infermieri, con le risorse che abbiamo arriviamo a luglio. Per i medici, invece, al momento in cassa non c’è niente”.

Nella sanità solo la retribuzione base viene messa a bilancio dalle aziende: tutto il resto viene finanziato con i fondi contrattuali. “Fondi che non sono abbastanza capienti: già nel 2021 i medici hanno avuto il 75% in meno di quanto gli spettava sulla base degli obiettivi raggiunti”, prosegue Calandra Checco. Alla Ausl, invece, servono circa tre milioni di euro, anche se le cifre precise saranno comunicate dall’azienda ai sindacati nell’incontro programmato per il 15 giugno. Inoltre, a Parma la quota pro capite dei dipendenti è inferiore rispetto alle altre province dell’Emilia Romagna. “Se non si troverà il personale alla fine bisognerà fare delle scelte come chiudere i servizi: noi a quella scelta non ci vogliamo arrivare”, conclude la segretaria locale. Ma le carenze negli organici, a Parma, vengono da lontano. “Sono scelte politiche fatte dieci, quindici anni fa, e ora ne stiamo pagando il conto”, sottolinea Andrea Belletti, segretario Anaao dell’Azienda ospedaliera. “Nel mio reparto di medicina legale siamo soltanto in tre medici mentre ne servirebbero almeno altri quattro, in modo da portare il numero in linea, per esempio, con Modena, dove ce ne sono sei o sette”.

E la situazione potrebbe persino aggravarsi nei prossimi anni. L’azienda ospedaliera, infatti, è in competizione con le case della salute della provincia – centri dove vengono trattati pazienti cronici – che pagano meglio a fronte di minori responsabilità. “Non è che non abbiamo personale perché non facciamo i concorsi: non lo abbiamo perché nessuno vuole venire a lavorare qui. La nostra infatti è una struttura di terzo livello che ha reparti di eccellenza, come il centro ustioni e la neurochirurgia. Ma l’alta specializzazione comporta anche molti rischi e maggiori responsabilità per i medici a fronte di stipendi più bassi”, prosegue Belletti. “Tra due anni corriamo il rischio di non avere il personale idoneo per erogare un servizio di un certo livello”. Ma anche la scarsità dei fondi contrattuali è un problema che si protrae da tempo, almeno dal 2017, e ha iniziato ad aggravarsi nel 2018-2019, soprattutto in seguito alla legge Madia che ha permesso la stabilizzazione dei precari. A fronte di un organico potenziato, infatti, le risorse per la parte variabile dello stipendio dei medici sono rimaste le stesse. “Veniamo da due anni di riduzioni della retribuzione integrativa relativa agli obiettivi, mentre quest’anno non percepiremo nulla”, aggiunge il segretario Anaao. “La direzione dell’azienda ospedaliera ci ha detto che la situazione dei fondi è drammatica. Se la regione non stanzia risorse aggiuntive c’è il rischio che vengano intaccate anche altre voci della retribuzione integrativa, come la posizione (che viene data sulla base del tipo di incarico ricoperto, ndr)”. L’alternativa, per far quadrare i conti, è azzerare i gettoni che i medici percepiscono quando fanno le guardie di notte o nei giorni festivi.

Seppure in condizioni migliori, anche le altre province lamentano grosse carenze negli organici, soprattutto a causa del blocco del turnover stabilito dalla Regione negli ultimi tre mesi dell’anno scorso. Una decisione dovuta sempre alla mancanza di fondi. “Il problema del personale deriva dal fatto che non sono state stanziate risorse aggiuntive”, sottolinea il segretario Fp Cgil Blanzieri. “I medici se ne sono andati perché erano stati assunti con contratti a tempo determinato che, per il blocco del turnover, non potevano essere prorogati. Adesso siamo con l’acqua alla gola”. Senza contare gli effetti di quasi due anni di pandemia sul sistema sanitario. “C’è una difficoltà enorme ad accedere alle prestazioni specialistiche ed ambulatoriali. Molte liste d’attesa sono chiuse. Per fare queste cose ci serve del personale”. Una situazione talmente grave che, nelle ultime settimane, come in altre Regioni italiane diversi servizi sono stati affidati in gestione a cooperative, ad esempio il punto nascite di Mirandola e il pronto soccorso dell’Ausl di Reggio Emilia. “Sta diventando quasi impossibile trovare medici e infermieri. Perciò stiamo chiedendo non solo la garanzia della sostituzione dei pensionamenti, ma anche la proroga di tutti i contratti a tempo determinato: servono risorse per tenere aperto tutto ciò che è necessario mantenere aperto”, aggiunge Blanzieri.

Insomma, il sottofinanziamento della sanità rischia di avere effetti molto pesanti. Questo mentre i due miliardi in più stanziati dalla Legge di bilancio per il Fondo sanitario nazionale sono già quasi tutti impegnati per i rinnovi contrattuali dei lavoratori del comparto, della dirigenza medica e di quella pta (professionale, tecnica e amministrativa). Nello specifico, il Fondo dispone di 124 miliardi di euro quest’anno, di 126 miliardi nel 2023 e di 128 miliardi nel 2024. Al contrario degli anni scorsi, poi, la sanità non può contare su risorse aggiuntive, come quelle allocate nel 2020 con i decreti Cura Italia e Rilancio. Senza contare che il governo non ha ancora rimborsato le spese legate al Covid sostenute dalle regioni negli ultimi due anni. Per l’Emilia Romagna si tratta di una cifra tra i 300 e i 400 milioni di euro. “C’è necessità di aumentare le risorse, dal momento che abbiamo un problema enorme di tenuta dei servizi”, prosegue Blanzieri. “Tuttavia, a parte le dichiarazioni, dalla Regione non si vede nulla”.

Quanto ai fondi per la contrattazione integrativa, necessari a pagare gli straordinari e i premi di produttività, l’ammontare delle risorse è fermo ai livelli del 2018 a fronte di un organico che con il Covid è aumentato di 5 mila unità. Per far fronte a queste spese, alla sanità regionale servono altri 50 milioni di euro. Altrimenti, avverte la Fp Cgil, 55mila lavoratori del comparto e 14mila medici potrebbero rimanere senza la retribuzione accessoria. “C’è il rischio che ai lavoratori non venga pagata la produttività: si tratta di 150-200 euro in meno ogni mese nella busta paga”, spiegano, e chiedono l’immediata applicazione del decreto Calabria che consente di adeguare i fondi per la contrattazione integrativa al numero dei dipendenti. “Il provvedimento è l’unica strada percorribile per immaginare un incremento dei fondi”, continua Blanzieri.

C’è poi il tema del ritardo della Regione nella stabilizzazione dei precari reclutati durante la pandemia. Secondo quanto prevede la Legge di bilancio, a partire dal primo luglio chi ha maturato almeno 18 mesi di servizio può venire assunto a tempo indeterminato. Ad oggi, però, la Regione non ha ancora pubblicato i bandi. Il problema deriva in parte dalla stessa Legge di bilancio. Il testo, infatti, non prevede come requisito l’aver lavorato per l’ente al quale si presenta la domanda di assunzione. In sostanza, basta aver prestato servizio per 18 mesi per fare richiesta in tutta Italia. La questione è al centro del dibattito della Conferenza delle regioni: il rischio è infatti un esodo caotico tra i diversi territori.

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