Angelo Chessa, leader storico dei familiari delle vittime della strage Moby Prince e presidente onorario dell’associazione 10 aprile, è morto sabato mattina a Milano dopo una lunga malattia, tenuta finora nel più stretto riserbo. Chessa, medico ortopedico e responsabile della chirurgia del piede presso l’Ospedale San Paolo di Milano, era il figlio minore del comandante Ugo Chessa, alla guida del traghetto coinvolto, trentuno anni fa, in uno degli eventi più misteriosi e controversi della storia repubblicana, oggetto attualmente di una commissione d’inchiesta alla Camera dei Deputati e di due inchieste penali presso la DDA di Firenze e la Procura di Livorno.

Proprio nelle aule di giustizia Chessa ha guidato per tre decadi la battaglia dei familiari delle vittime per ottenere una ricostruzione plausibile – oltre a relative condanne e giusti riconoscimenti – su quanto accaduto la notte tra il 10 e 11 aprile davanti al porto di Livorno e costatogli la perdita del padre e della madre, periti insieme ad altre centotrentotto persone imbarcate sul traghetto della compagnia Nav.ar.ma, oggi Moby, dell’armatore Vincenzo Onorato.

Fino agli ultimi giorni di vita, Chessa ha cercato di ottenere risposte dai Tribunali, da ultimo con un ricorso, condiviso con tutti i familiari, contro la sentenza del Tribunale Civile di Firenze del 2 novembre 2020 che di fronte alla novità emerse due anni prima dalla Commissione d’inchiesta Moby Prince del Senato ha continuato ad avvalorare la ricostruzione confermata dall’ultima archiviazione del 2010 – chiesta e ottenuta dalla Procura di Livorno – che attribuì l’incidente Moby Prince ad una indimostrata distrazione del comando nave, tradito da una rarissima nebbia da avvezione, poi deceduto insieme ai passeggeri e al resto dell’equipaggio in massimo trenta minuti dall’innesco dell’incendio conseguente la collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Una ricostruzione questa ribaltata dalla Commissione d’inchiesta del Senato il 24 gennaio 2018 che smentì la presenza della nebbia, al pari della morte rapida di tutte le centoquaranta vittime, arrivando a definire eroico il comportamento dell’equipaggio Moby Prince guidato da Ugo Chessa in una assistenza strenua all’incendio a bordo, in attesa di un soccorso non coordinato dalle autorità competenti verso il traghetto e il suo carico umano, per cause ancora da accertare.

Il 6 ottobre 2021, nell’ultima audizione all’attuale Commissione d’inchiesta sulla vicenda alla Camera dei Deputati, Chessa ha riassunto la storia della vicenda che ha segnato irrimediabilmente la sua vita come “uno dei più grossi depistaggi giudiziari dopo quello di Ustica“. Un depistaggio giudiziario che Angelo Chessa, da quel drammatico 10 aprile 1991 aveva assunto l’onere di comprendere e smascherare, portando all’attenzione della magistratura ogni elemento capace di avvicinare alla verità sull’accaduto. Negli ultimi mesi attendeva l’esito dei quattro anni di indagine parallela della DDA di Firenze e della Procura di Livorno, fruttoÈ anche del suo lungo e instancabile lavoro di ricerca. E’ morto purtroppo senza poterne aver notizia.

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