“Farò più rumore da morto che da vivo”. Mai profezia fu più vera. Padre Pio da Pietrelcina la ripeteva spesso con quel suo sguardo lungimirante che gli faceva percepire il corso degli eventi. Il frate cappuccino nasceva esattamente 135 anni fa, il 25 maggio 1887, in un piccolissimo paesino in provincia di Benevento. Una vita tormentata, soprattutto dalle due vere e proprie persecuzioni dell’allora Sant’Uffizio, ma segnata da una ministero molto intenso nel convento di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia. Un luogo sperduto tra le montagne del Gargano che, proprio grazie a san Pio, è diventato una meta di pellegrinaggio da ogni parte del mondo.

Di questo frate cappuccino si è scritto tanto: dal suo immenso carteggio con i figli spirituali ai rapporti con il futuro san Giovanni Paolo II che a padre Pio chiese e ottenne il miracolo della guarigione per la sua amica Wanda Póltawska, tuttora vivente a 101 anni. Fu proprio Karol Wojtyla a beatificarlo nel 1999 e a canonizzarlo nel 2002. Recentemente il giornalista Raffaele Iaria ha dato alle stampe un volume molto interessante intitolato Zi’ Tore (Tau) che racconta la vita del parroco del futuro santo, don Salvatore Pannullo.

“Nel 1912 – ricorda monsignor Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, nella prefazione al libro – padre Pio scrisse che l’arciprete gli voleva bene ‘più’ che un padre, dolendosi di non poterlo aiutare nelle confessioni perché il provinciale gliene aveva negato il permesso; nel 1915 lo sceglierà quale suo confessore: don Pannullo verrà così messo a parte dei segreti dell’anima di padre Pio, ciò che consentì di stabilire un’intimità più profonda fra i due, un’intimità che avrebbe concesso a ciascuno dei due di trasmettere qualcosa di sé all’altro”.

Il presule sottolinea, inoltre, che “padre Pio non era un uomo comune. Ma era comunque un uomo, che tanto aveva appreso da quel mondo piccolo nel quale era nato ed era vissuto e dalle persone con cui, in quello stesso mondo, era entrato in contatto. Tra queste, don Salvatore Pannullo ha avuto certamente un ruolo tutt’altro che secondario”.

Come è noto, i rapporti tra padre Pio e la Santa Sede furono abbastanza burrascosi. Per due volte, infatti, prima sotto i pontificati di Benedetto XV e Pio XI e poi sotto quello di san Giovanni XXIII, il frate del Gargano fu perseguitato dall’ex Sant’Uffizio.

Sospeso e successivamente riammesso in entrambi i casi, padre Pio non si oppose mai alle decisioni della Santa Sede, non incontrò mai nessun Papa, né mise mai piede in Vaticano. Se non da morto, quando, nel febbraio 2016, Francesco volle che il suo corpo fosse esposto nella Basilica Vaticana durante il Giubileo straordinario della misericordia.

Il primo a scrivere una durissima relazione contro il frate fu il suo confratello padre Agostino Gemelli: “È un bluff. Padre Pio ha tutte le caratteristiche somatiche dell’isterico e dello psicopatico”. E sulle stimmate il religioso e psicologo non ebbe dubbi: “Le ferite che ha sul corpo sono fasulle, frutto di un’azione patologica morbosa. È un ammalato che si procura le lesioni da sé. Si tratta di piaghe, con carattere distruttivo dei tessuti, tipico della patologia isterica”.

L’altro persecutore di padre Pio, monsignor Carlo Maccari, non fu di parere diverso da quello di Gemelli salvo poi, diversi anni dopo la morte del frate, divenuto arcivescovo di Ancona-Osimo, pentirsi e diventarne un grande devoto. A difendere il frate del Gargano dalle accuse di monsignor Maccari fu l’allora di arcivescovo di Manfredonia, monsignor Andrea Cesarano, amico personale di Roncalli dagli anni in cui il futuro Papa era visitatore apostolico in Bulgaria. Il presule chiarì che “padre Pio è un apostolo che fa delle anime un bene immenso. Un uomo di Dio. Un santo. Su di lui si dicono tutte calunnie”.

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