Paolo è stato licenziato lo scorso Primo Maggio, il giorno della festa dei lavoratori, dopo 10 ore e mezza di turno e la mattina successiva è incappato per caso in un articolo del Corriere Torino dedicato a quello che è stato il suo datore di lavoro fino a poche ore prima. “Non riesco ad assumere, quindi chiudo bottega”. Maurizio Rostagno, ristoratore proprietario de “L’Acciuga Bistrot”, raccontava di essere costretto a chiudere temporaneamente il proprio locale dopo poco meno di sei mesi per mancanza di personale. “Eppure, garantisce il titolare de l’Acciuga, il menù in busta paga è più che dignitoso: 1.700 euro (netti) al mese, per 12 mensilità, per cuoco e aiuto cuoco, e 1.400 euro per cameriere di sala”, proseguiva l’articolo, rimarcando che a un mese dalla pubblicazione degli annunci nessuno si era presentato per un colloquio.

Tra i commenti al post diffuso sui social dalla testata sono però subito apparse una serie di testimonianze che raccontavano l’altra faccia della medaglia: quella dei lavoratori, in questo caso degli ex dipendenti di Rostagno, proprietario di due ristoranti a Torino: L’Acciuga Bistrot e Le Fanfaron Bistrot, che si trovano proprio uno accanto all’altro. “Ho mandato un curriculum in risposta a un annuncio di lavoro pubblicato per l’altro ristorante di Rostagno, Le Fanfaron Bistrot, che cercava un capo partita ai primi di cucina piemontese, ben diverso dal lavorare il pesce come poi sono finito a fare durante la prova – racconta Paolo a ilfattoquotidiano.it – Io avrei dovuto prendere in gestione il Bistrot dopo una settimana di prova in affiancamento, regolarmente contrattualizzata. Prendere in gestione significa che praticamente avrei dovuto fare tutto da solo, dal lavare i piatti alla cucina vera e propria. Il contratto? Un sesto livello del Ccnl dei pubblici servizi, con qualifica di aiuto cuoco”.

Il Ccnl applicato nel settore della ristorazione collettiva prevede 14 mensilità e non 12 come scritto nell’articolo del dorso torinese del Corriere. Infatti, spiega Paolo, il contratto proposto da Rostagno è un cosiddetto forfettario che nello stipendio mensile comprende anche tutti gli altri istituti contrattuali come, ad esempio, Tfr, tredicesima e quattordicesima, per aumentare in questo modo il salario mensile. “Le ore contrattuali sono 40 ma in realtà si lavora di più. Nella settimana che ho lavorato da loro ho fatto 47 ore e mezza totali. Lo stipendio si sarebbe aggirato effettivamente intorno ai 1.650/1.700 euro al mese ma comprensivi di tutti gli istituti aggiuntivi inglobati nella paga mensile”, prosegue Paolo.

Un contratto da sesto livello che non corrisponde a quelle che sarebbero state le reali mansioni di Paolo. “Devo dire che sono stati anche bravi perché mi hanno offerto un contratto da 40 ore, molti invece ti contrattualizzano per 24 e poi il resto dello stipendio te lo danno in nero fuori busta – pratica che poi si riflette sulla futura pensione visto che ovviamente i contributi versati sono di gran lunga inferiori -, qui invece di fuori busta non c’era niente, mi hanno retribuito tutte le ore lavorate effettivamente. Nel contratto c’è un orario dichiarato, da venti minuti prima dell’apertura a venti minuti dopo la chiusura al pubblico, peccato che nella realtà sia necessario arrivare molto prima e chiudere molto dopo. Un locale come quello, per quanto abbia pochi coperti, deve essere gestito almeno da due persone, anche tre nei giorni di maggiore afflusso come il sabato. Allora così si riesce a lavorare le giuste 40 ore a settimana, ma da solo sarebbe stato impossibile”, sottolinea Paolo.

Il ristorante ha davvero chiuso per mancanza di personale? Secondo Paolo i proprietari hanno raccontato ai dipendenti un’altra versione dei fatti: “Che fossero a corto di personale e dovessero riorganizzare le cucine dei due ristoranti di loro proprietà è vero, perché il cuoco di Le Fanfaron Bistrot si era appena dimesso e un altro dipendente era entrato in malattia, ma a me hanno detto che avrebbero chiuso una o due settimane per fare dei lavori, apportare dei cambiamenti già preventivati come il rifacimento del dehor. Io, per esempio, non sono stato licenziato dopo un litigio: a fine servizio, alle 23.30 del Primo Maggio, mi hanno detto che proprio per via di questa riorganizzazione la mia figura non sarebbe stata necessaria e gli dispiaceva ma non avrebbero dato seguito al rapporto di lavoro. La mattina dopo mi sono trovato quell’articolo sul Corriere”.

Rostagno è proprietario da tempo anche di un altro locale, Le Fanfaron Bistrot, proprio accanto al nuovo bistrot aperto qualche mese fa. E sono vari i dipendenti che hanno pubblicamente contestato il racconto del ristoratore diffuso dal quotidiano. Margherita Zouheir ha lavorato per oltre due anni a Le Fanfaron Bistrot e anche lei racconta una versione completamente diversa da quella che il ristoratore ha fornito al Corriere della Sera. “Ho lavorato per molti anni come stagionale, ma tra fine novembre e inizio dicembre 2018 ho a malincuore lasciato un posto in Veneto, molto ben pagato e con inquadramento adeguato alle mansioni, perché ho voluto avvicinarmi a mio marito che lavorava a Torino”, racconta Margherita a ilfattoquotidiano.it. Assunta come cameriera con un 5° livello del ccnl dei pubblici servizi e ristorazione collettiva, le mansioni che si è ritrovata a dover eseguire non erano assolutamente adeguate al ruolo di assunzione e allo stipendio: “Io aprivo il locale, lo chiudevo, gestivo la cassa, compilavo il registro dei corrispettivi, prendevo le ordinazioni, facevo le pulizie dei bagni. Praticamente ero una tuttofare. ‘Qui tutti devono fare tutto’, dicevano i titolari’”.

Lo stipendio? Più o meno 1.150/1.200 euro puliti al mese, togliendo gli assegni familiari e il bonus Renzi che il datore di lavoro si limita ad anticipare facendo le veci dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate. Il compenso orario, di fatto, ammontava a 8,23 centesimi lordi all’ora. Prima del lockdown, racconta Margherita, Rostagno applicava effettivamente i contratti come da normativa e retribuiva le ore di straordinario che i suoi dipendenti facevano e segnavano timbrando il cosiddetto cartellino. Tutto cambia con l’arrivo della pandemia. I dipendenti vengono messi in cassa integrazione e il ristorante riapre pian piano con l’asporto e via via con tutto il resto del servizio al termine del blocco imposto dai decreti dell’allora governo Conte.

“Durante la cassa integrazione abbiamo visto lo stipendio ogni tre mesi, quando l’Inps la erogava. Lui aveva messo tutti in cassa tranne due/quattro persone tenute come forza lavoro anziché fare una sorta di rotazione per dare a tutti la possibilità di lavorare e ricominciare a guadagnare uno stipendio maggiore. Nonostante il commercialista gli avesse consigliato di fare questa sorta di turnazione, Rostagno non ha voluto procedere così perché sarebbe diventato troppo complicato per via delle comunicazioni che avrebbe dovuto fare all’Inps”, racconta Margherita.

Ad agosto 2020 Margherita inizia ad avere problemi alla schiena e passa tre mesi e mezzo in malattia. “In quel periodo il mio datore di lavoro non ha anticipato tutta la mutua in busta paga, ma mi ha bonificato una cifra irrisoria ogni mese. Dopo mesi senza ricevere lo stipendio completo, mi sono rivolta al mio avvocato di fiducia e ho fatto mandare lettere con i conteggi di quanto mi spettava richiedendo il pagamento totale. Dopo avermi chiesto di pagare a rate, possibilità a cui avevo acconsentito, ha anche richiesto uno sconto sulle spese legali, che non avrebbe voluto pagare nonostante gli toccassero. Quando ho detto che avrei fatto un decreto ingiuntivo, alla fine ha fatto il bonifico”, spiega l’ex dipendente, aggiungendo di non essere stata l’unica collaboratrice a dover inseguire i soldi che le spettavano. Altri colleghi hanno infatti dovuto attendere per mesi il pagamento degli straordinari effettuati molto tempo prima, per esempio. “Non pagavano gli stipendi lamentando di non avere soldi, ma un giorno siamo venuti a sapere che avevano appena comprato 70 nuove sedie per il locale. Ma come?”, si domanda Margherita.

A dicembre 2021, proprio sotto Natale, arriva però il licenziamento per Margherita e altri colleghi. Calo di fatturato è la motivazione addotta dal ristoratore. Nel frattempo Rostagno aveva appena aperto il nuovo locale, L’Acciuga Bistrot. “Il personale non se l’è saputo tenere per come l’ha trattato negli ultimi due anni. Infatti, da 15 che eravamo inizialmente nel 2018, a dicembre 2021 eravamo rimasti in cinque. Nonostante il calo di fatturato e la cassa integrazione, nel frattempo i miei datori di lavoro hanno assunto altre persone, da usare sia per Le Fanfaron Bistrot che per L’Acciuga Bistrot, con contratti a chiamata o con mansioni differenti da quelle delle persone poste in cassa integrazione”, chiosa Margherita.

A una sola settimana dalla pubblicazione dell’articolo del Corriere della Sera, Rostagno ha festeggiato sui social l’arrivo di oltre 500 curriculum, ringraziando tutti per il supporto e la disponibilità a candidarsi. Un ottimo risultato considerando che in più di un mese il ristoratore aveva raccontato di non essere riuscito a trovare nessuno interessato a fare un colloquio, come dichiarato allo stesso quotidiano. Contattato da ilfattoquotidiano.it per una replica, il ristoratore torinese ha preferito non rilasciare dichiarazioni.

Riceviamo e pubblichiamo
Nell’articolo di Charlotte Matteini: “La vera storia del bistrot che chiude perché “non trova personale”…” pubblicato il 16/5 u.s., le circostanze di seguito richiamate sono prive di fondamento: nessun cuoco di nome Paolo, assunto con contratto di VI livello, venne licenziato il 01/05/22 da Mocambo S.n.c. – società che gestisce i ristoranti “Acciuga bistrot” e “Fanfaron bistrot” – per ragioni di riorganizzazione. L’unico dipendente licenziato in tale data, di nome Massimo, venne assunto con contratto di V livello e licenziato per mancato superamento del periodo di prova contrattualmente previsto, in quanto dimostratosi privo dei requisiti e delle capacità indispensabili richieste nell’annuncio pubblicato il 03/04/22, ovvero: “esperienza pregressa documentata nella ristorazione, CV professionale, conoscenza del pesce (varietà, cotture, sfilettature), ecc”. Inoltre, il contratto sottoscritto dal suddetto prevedeva che egli avrebbe potuto lavorare in entrambi i locali, a seconda delle esigenze tecniche, organizzative e produttive. La Sig.ra Zouheir omette invece di riferire che la sua assunzione venne confermata a tempo indeterminato nel dicembre 2019, in ragione della disponibilità da lei inizialmente espressa a lavorare prevalentemente presso l’Acciuga bistrot, ma ritirata dopo la sottoscrizione del contratto. Il suo licenziamento nel novembre 2021 fu dovuto all’oggettivo calo di fatturato, che non giustificava la prosecuzione del rapporto di lavoro solo presso il Fanfaron bistrot. Infine, al di là delle falsità, omissioni e inesattezze riportate sopra, non si scorge il nesso diretto e il pubblico interesse tra le doglianze dei 2 ex dipendenti di cui all’articolo citato e il tema della oggettiva difficoltà a reperire personale qualificato, sollevato da uno dei soci della Mocambo S.n.c. nell’articolo pubblicato il 07/05/22 sull’edizione locale del Corriere della Sera, successivamente ripreso e confermato da altri cuochi di fama nazionale e internazionale.

Avvocato Luca Giabardo

Prendiamo atto delle precisazioni del sig. Rostagno e rappresentiamo che l’articolo riporta le dichiarazioni di due ex dipendenti, tutte verificare e supportate da documentazione. Inoltre, lo scorso 12 maggio, prima della pubblicazione online, il signor Rostagno è stato contattato via mail proprio per richiedere la sua versione dei fatti, ma ha rifiutato la proposta dicendo che non avrebbe più rilasciato interviste. (c.m.)

Articolo Precedente

Reddito di cittadinanza, Garavaglia: “Lasciare il 50% a chi accetta un lavoro stagionale”. La norma c’era, poi il governo ci ha ripensato

next
Articolo Successivo

Per cambiare il lavoro servono politiche creative. Ad esempio, i contratti di società e di relazione

next